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Riflessioni su antiche proposte di "modernizzazione" della scuola

Negli ultimi mesi sono apparse, con singolare contemporaneità e in stupefacente sintonia, alcune proposte di riforma della scuola che meritano qualche riflessione e qualche commento,

18/04/2001
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Negli ultimi mesi sono apparse, con singolare contemporaneità e in stupefacente sintonia, alcune proposte di riforma della scuola che meritano qualche riflessione e qualche commento, se non altro perché riguardano da vicino la nostra fatica quotidiana di professionisti della scuola oltreché, cosa ancor più importante, il futuro della società italiana.
Leggiamo nelle tesi di Confindustria, presentate il 16 marzo a Parma, analisi, ma soprattutto proposte, cosa per noi più rilevanti delle analisi, che sembrano sovrapponibili a quelle apparse nella proposta di Legge sulla scuola di Forza Italia.
Dunque, le cose da fare per la scuola italiana, inefficiente e sprecona, non sono quelle messe in campo dal Parlamento in questi anni (autonomia scolastica in un quadro unitario nazionale, decentramento amministrativo, riduzione a due dei cicli scolastici, riforma degli esami, dimensionamento delle scuole, dirigenza di scuola, riforma e sistemazione del reclutamento del personale, obbligo formativo a 18 anni, educazione degli adulti ecc.ecc.) ma sono semplicemente due o tre.
La prima è il buono scuola, la seconda è la chiamata diretta dei docenti e dei Dirigenti scolastici da parte delle scuole, la terza è l'istituzione di un Consiglio di amministrazione come organismo unico di governo delle istituzioni scolastiche.
Naturalmente queste due o tre idee per risolvere felicemente i problemi della scuola italiana hanno qualche problema di compatibilità con la Costituzione, con la democrazia e con i diritti fondamentali della persona.
Il buono scuola, soprattutto se applicato con la capacità discriminatoria di classe della Regione Lombardia, ha in sé la tabe della libanizzazione della formazione in Italia: ogni scuola con il suo Progetto educativo recluterà i Dirigenti scolastici e i docenti (sia pur abilitati all'insegnamento) omogenei alla comunità genitoriale che si sarà costituita in questa o quella scuola, inevitabilmente formata sulla base dell'ideologia o del censo. Ogni famiglia, infatti, con il suo buono sceglierà scuole "coerenti" coll proprio sentire idologico e di classe. Ogni idea di pluralismo sarà progressivamente eliminata all'interno di ogni singola scuola, sostituita dal pluralismo fra scuole: un pluralismo di classe o di ideologia, più che un pluralismo da mercato.
La "chiamata" discrezionale dei Dirigenti scolastici e dei docenti, finalizzata alla realizzazione del Progetto formativo adottato dal Consiglio di Amministrazione, dove necessariamente dovrà prevalere il punto di vista del genitore-cliente, prelude naturalmente alla fine della libertà di insegnamento. Anzi, il progetto di legge di Forza Italia subordina al diritto di apprendimento la libertà di insegnamento. E' evidente l'errore di mettere in contrapposizione gerarchica due diritti entrambi tutelati dalla Costituzione.
L'enfasi posta sulla funzione del Consiglio di amministrazione spiega molto bene la convergenza di molti che si sono contrapposti con efficientistico furore all'approvazione della Legge sugli Organi collegiali. In effetti ciò che si criticava in quella proposta non era tanto il numero elevato di organismi quanto il fatto che i tanti organismi (certo numerosi e da semplificare) confliggevano palesemente con una idea di scuola governata da una oligarchia con molti poteri e senza la partecipazione dei soggetti.
La visione che sottende questa concezione di scuola è diametralmente opposta a una idea di scuola nazionale, unitaria, democratica, autonoma.
Alcune forze che si sono dette entusiaste ed hanno approvato le riforme autonomistiche, dopo aver portato all'incasso, ad esempio la Dirigenza scolastica, sono adesso pronte alla svendita a presunti futuri nuovi e migliori offerenti politici.
A costoro ci sentiamo di chiedere: qual è l'autonomia del Dirigente scolastico appena nato, se deve rispondere ad un soggetto unico (il Consiglio di amministrazione), diverso dalla Repubblica (e non- si badi- dallo Stato) di cui è agente e da cui riceve mandato ?
Il Dirigente scolastico passa così da terminale burocratico dell'Amministrazione, quale finora era stato, a dipendente di una comunità di genitori a cui poco importa dei valori costituzionali del pluralismo, della libertà di ricerca e di insegnamento, della dignità e dell'autonomia professionale del lavoratore della scuola.

E cosa ha a che spartire questo Dirigente scolastico dipendente da un Consiglio di Amministrazione con il profilo del Dirigente scolastico disegnato dall'articolo 25 bis del D.L.vo 29/93 pure da tutti approvato? I compiti dirigenziali contenuti in quel profilo parlano di garanzie costituzionali da far rispettare, di obiettivi civili da realizzare, di Organi Collegiali da far funzionare e non di clienti da soddisfare.
I proponenti tali "modernizzazioni" in realtà semplificano il non semplificabile, o forse confidano nello spirito della cosiddetta gente, reso semplice e ormai, dopo anni di televisione massificante e omologante, reso incline ad accettare chi promette soluzioni miracolistiche. Confidano cioè in una condizione psicologica resa "fanciullesca" dal bombardamento mass-mediologico invitando a dimettere il pensiero civile e ad indossare quello privato. Vogliamo invece essere fiduciosi in un processo di maturazione avvenuto nel cittadino e nell'individuo del nostro Paese: lo dobbiamo poi essere come scelta soggettiva di educatori e come Dirigenti che non degradano, secondo lo spirare dei tempi, il proprio essere civile ad "essere privato" e di mercato.

Roma, 19 aprile 2001

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