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Pensioni: dal Governo una proposta di riforma blindata

Con questa scheda, cerchiamo di fornire gli strumenti utili e necessari per capire quello che sta avvenendo sul terreno della proposta di riforma delle pensioni che il governo si appresta a presentare in Parlamento.

22/10/2003
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Con questa scheda, cerchiamo di fornire gli strumenti utili e necessari per capire quello che sta avvenendo sul terreno della proposta di riforma delle pensioni che il governo si appresta a presentare in Parlamento.

Dalle notizie di questi giorni, pare che il governo, vista l’ enorme quantità di emendamenti che sia i partiti della sua coalizione, sia i partiti dell’opposizione, hanno intenzione di presentare alla Legge Finanziaria, sembra orientato a porre il voto di fiducia.

Poiché, come ha ammesso lo stesso Presidente del Senato, Pera, la delega sulla riforma del sistema previdenziale si presenta come allegato alla Legge Finanziaria, ne discende che, nonostante le ripetute assicurazioni di vari esponenti, la proposta di riforma non risulta essere emendabile.

Capire, quindi, i termini della questione, e capire anche cosa può capitare singolarmente a ciascuno di noi, è molto importante.

la pensione di vecchiaia

Il collocamento a riposo per raggiunti limiti di età avviene d’ufficio con provvedimento emesso dall’Amministrazione.

Questo si verifica al momento del compimento dei 65 anni, con decorrenza dal primo settembre successivo al compimento dell’età prevista. Per le donne, la pensione di vecchiaia può scattare all’età di 60 anni, ma in questo caso occorre produrre apposita domanda.

Analogamente, per gli uomini, occorre produrre domanda se il compimento del 65° anni di età si verifica nel periodo compreso tra il 1 settembre ed il 31 dicembre dell’anno in cui si vuole andare in pensione.

Il diritto alla pensione di vecchiaia si acquisisce con una contribuzione minima di:

15 anni per coloro che alla data del 31/12/1992 avevano maturato una contribuzione di almeno 15 anni;

20 anni per tutti gli altri.

E’ comunque prevista la possibilità, a domanda, di rimanere in servizio oltre i limiti di età sopra citati, per raggiungere i 40 anni di contribuzione o gli anni necessari per l’erogazione della pensione minima.

Non è possibile comunque rimanere in servizio oltre i 70 anni di età.

la pensione di anzianità

Dopo la riforma Dini del 1995, si dovrebbe parlare solo di pensione di vecchiaia, perché in questa prestazione pensionistica sono state assorbite tutte le forme pensionistiche precedenti: vecchiaia, anzianità e anzianità anticipata.

Tuttavia si può ancora parlare di prepensionamento, o pensione di anzianità, ma all’interno di vincoli contributivi e di età anagrafica sempre più ristretti.

La pensione di anzianità si può ottenere dando volontariamente le dimissioni dal servizio. Quindi, a differenza della pensione di vecchiaia, è il singolo lavoratore che deve prendere l’iniziativa producendo apposita domanda entro i termini stabiliti annualmente dal MIUR.

Occorre fare attenzione perché per poter ottenere la pensione occorre essere in possesso dei requisiti di servizio e di età anagrafica che sono sotto riportati. In mancanza di questi rimane la domanda di dimissione volontarie che può portare alla semplice cessazione dal servizio senza corresponsione di pensione.

Ecco i casi e le condizioni necessarie alla pensione di anzianità con le regole attuali:

Anno

Età + anzianità contributiva

di 35 anni

Requisito dell’anzianità contributiva

a prescindere dall’età

2004

57 e 35

38

2005

57 e 35

38

2006

57 e 35

39

2007

57 e 35

39

2008

57 e 35

40

(le possibilità di uscita anticipata dal lavoro e che sono illustrate nello specchietto, sono anche comunemente definite “finestre”)

regieme retributivo e regime contributivo

La posizione previdenziale di ciascun lavoratore dipende dagli anni di servizio lavorati e degli anni di contributi versati a vario titolo, in virtù dei quali la loro pensione può essere calcolata in due modi diversi: retributivo e contributivo.

La differenza tra i due sistemi è molto forte, perché il regime contributivo comporta una pensione che, a parità di anni lavorati, può essere inferiore anche oltre il 40% di quella calcolata con il regime retributivo

Prima della riforma Dini del 1995, tutti i lavoratori dipendenti si trovavano nel cosiddetto “regime retributivo”:il calcolo della pensione prendeva a riferimento la retribuzione percepita dal lavoratore nell’ultimo mese di lavoro.

Con la riforma veniva fissato uno spartiacque, appunto la data del 31 dicembre 1995.Per tutti coloro che a quella data erano in possesso di almeno 18 anni di contribuzione (riconosciuta o riconoscibile), la situazione, dal punto di vista del calcolo della pensione, non si è modificata di molto, perché sono rimasti nel regime retributivo.

Per coloro che invece ne possedevano di meno, ad esempio invece che 18 anni ne possedevano 12 di contribuzione, la situazione si è modificata perché la loro pensione viene calcolata con il vecchio sistema (quello retributivo) solo per gli anni maturati fino al dicembre 1995. Per gli anni successivi invece il calcolo è basato sulla quantità di contributi versati: il “ regime contributivo”.

I lavoratori in questa condizione si trovano quindi in un sistema misto.

Va da sé che tutti gli assunti in servizio successivamente al 31 dicembre 1995, si trovano pienamente nel regime contributivo.

cosa è la contribuzione

Per maturare il diritto ad una pensione, occorre che vengano versati dei contributi collegati all’attività lavorativa, o ad altro titolo.

Mensilmente sia il datore di lavoro che il lavoratore versano nelle casse dell’INPS (che è il principale ente pubblico previdenziale) una percentuale delle competenze spettanti al lavoratore. Le quote versate sono così ripartite: il24,20% dello stipendio lordo è a carico del datore di lavoro, l’8,50% è invece a carico del lavoratore.

Considerando, per esempio, uno stipendio lordo di 2000 €, il lavoratore si vedrà detrarre mensilmente una quota di 170 €, mentre il datore di lavoro verserà una quota pari a 484 €.

Questi soldi vengono incassati dall’INPS e servono per pagare le pensioni.

Nel caso del pubblico impiego, la contribuzione, che attualmente è del 24,20% a carico dello stato e dell’8,75% a carico del lavoratore, va a finire nelle casse dell’INPDAP, un ente pubblico che svolge funzioni previdenziali per i lavoratori pubblici.

cosa è la gobba

A sentir parlare esperti ed economisti, spesso si sente usare il termine “ gobba” che viene presentata come il nemico pubblico numero uno e gli interventi di riforma dovrebbero servire per combatterne gli effetti.

Nel grafico sotto riportato è schematizzata l’incidenza della spesa previdenziale sul PIL (Prodotto Interno Lordo) che intorno al 2030 produce una curva che punta verso l’alto.

Questa “ gobba” sta ad indicare che intorno a quegli anni la quota di spesa per le pensioni è molto elevata perché la percentuale di popolazione italiana che si trova in quiescenza (cioè in pensione) è molto è molto alta rispetto alla popolazione attiva.

Ovviamente questo comporterà un minore introito di contributi da parte dell’INPS e quindi una “difficoltà” di carattere economico..

E’ noto, infatti, che le risorse dell’ente previdenziale dipendono dalla quantità di contributi cheproviene dal mondo del lavoro. E maggiore è il numero dei contribuenti e degli occupati, e maggiori sono le entrate dell’ente.

La riforma del 1995 ha affrontato il problema riducendo, in modo graduale, le possibilità di pensione di anzianità e definendo, senza abolirla un vincolo, a regime (quello del 2008evidenziato nello specchietto soprastante),che limita le modalità e le possibilità di accesso.

L’entrata a regime della riforma, inoltre, prevede, anche questo in modo graduale, il passaggio di tutti i lavoratori dipendenti al regime contributivo. Questo produrrebbe un minor esborso per pagare le pensioni e quindi la possibilità di affrontare anche l’emergenza determinata dalla famosa “gobba”.

Ora, vale la pena ricordare come nella proposta governativa sia prevista la decontribuzione per i nuovi assunti (anche il famoso “bonus” per incentivare la permanenza al lavoro è una forma di decontribuzione, se pur limitata nel tempo!) .

Questo comporterebbe che la contribuzione versata dal datore di lavoro si potrebbe abbassare anche di 5 punti percentuali.

Se il problema è quello di una scarsità di risorse dell’INPS al momento della “gobba”, francamente non riusciamo a capire come possa essere messa in condizioni migliori diminuendo così radicalmente le sue entrate!

la previdenza pubblica e la previdenza complementare (o integrativa)

Con la riforma del 1995 (lo abbiamo visto sopra) le nuove generazioni sono state fortemente colpite per via del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo.

Poiché le pensioni che così si determineranno sono troppo esigue per consentire un dignitoso tenore di vita, la stessa legge ha previsto e favorito l’istituzione di un secondo pilastro che accompagna la previdenza pubblica e la integra: i fondi pensione.

La differenza tra i due pilastri è notevole.

La previdenza pubblica è definita un sistema a “ ripartizione”, perché si basa su un principio solidaristico (deriva dalle società di mutuo soccorso), per cui chi si trova in attività lavorativa contribuisce al pagamento della pensione di chi ha cessato la propria attività.

Ogni lavoratore fa quindi parte di una collettività, che punta a garantire chi ha lavorato per una vita. Non è solo una appartenenza ideale ma è una appartenenza che ha degli effetti materiali.

La previdenza complementare è invece definita un sistema a “ capitalizzazione” perché si basa su investimenti personali di ogni singolo lavoratore che non hanno alcuna diretta relazione con le scelte dei suoi colleghi.

In questo caso, ognuno pensa per se stesso. Il correttivo voluto dalle OO.SS., e accolto dalla legge, consiste nell’offrire a collettivi di lavoratori (comparti produttivi o lavorativi), la possibilità di associarsi per costituire dei fondi, che, nel caso dei fondi pubblici, godono di facilitazioni e sovvenzioni.

Il notevole ritardo con cui parte il fondo pensioni della scuola, che si chiama “ éspero”, è dovuto al fatto che il governo ha la volontà, nonché tutto l’interesse, di estendere privilegi e sovvenzioni anche alla previdenza complementare privata per renderla concorrenziale con quella pubblica.

Alla luce di quanto abbiamo fin qui detto, ripubblichiamo la scheda che mette in evidenza quelli che saranno gli effetti della riforma (ma speriamo che non passi) sui nostri destini previdenziali:

SITUAZIONE LAVORATIVA

REQUISITI ATTUALI

REQUISITI FUTURI

Assunti successivamente al 31/12/1995

57 o più anni di età ed almeno 5 anni di contribuzione per poter accedere alla pensione di vecchiaia

Sempre con un minimo di 5 anni di contribuzione, occorre avere 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne.

A prescindere dall’età, 40 anni di contribuzione.

Lavoratori con 18 o più anni di contribuzione al 31/12/1995

Per la pensione di anzianità: 35 anni di contributi e 57 di età , oppure, a prescindere dall’età anagrafica, 38 anni di contributi nel 2004 e 2005, 39 nel 2006 e 2007, e 40 anni dal 2008 in poi.

Per la pensione di vecchiaia: 65 anni per gli uomini e 60 per le donne, con almeno 20 anni di contribuzione.

Se il requisito dei 35 anni di contribuzione e 57 anni di età si acquisisce entro il 31/12/2007, non si hanno modifiche, altrimenti per la pensione di anzianità conta solo il requisito dei 40 anni di contribuzione.

Rimane la possibilità di utilizzare i requisiti attuali per la pensione di anzianità anche successivamente al 2008, ma in tal caso, anche se uno si dovesse trovare pienamente nel regime retributivo, il sistema di calcolo della pensione verrebbe effettuato con i criteri del contributivo, determinando una riduzione del rendimento variabile, che mediamente si può stimare intorno al 30%.

Per la pensione di vecchiaia con il retributivo non ci sono variazioni.

Lavoratori con meno di 18 anni di contribuzione al 31/12/95

Chi si trova in questa condizione ha la pensione che viene calcolata utilizzando due sistemi diversi (il retributivo per tutto il periodo fino al 31/12/1996 ed il contributivo per i periodi successivi).I

I casi da prendere in esame sono:

1) pensione di anzianità: valgono gli stessi requisiti illustrati nello specchietto soprastante.

2) pensione di vecchiaia: 65 anni di età per gli uomini e 60 per le donne con almeno 20 anni di contribuzione;

3) pensione di vecchiaia con opzione per il contributivo:57 anni di età e almeno 5 anni di contribuzione.

1) pensione di anzianità:

·40 anni di contribuzione:il calcolo viene effettuato utilizzando il sistema misto.

·Da 35 a 39 anni di contribuzione e con almeno 57 anni di età:il calcolo della pensione viene effettuato utilizzando il solo sistema contributivo.

2) pensione di vecchiaia:
nessuna variazione

3) pensione di vecchiaia con opzione per il contributivo:l’età è elevata a 65 anni per gli uomini e a 60 per le donne con una contribuzione minima di 5 anni.

Tag: pensioni

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