Insegnamento religione cattolica: il Consiglio di Stato annulla la sentenza del TAR del Lazio e redarguisce la Gelmini che però va per la sua strada
Decisione Consiglio di Stato n. 2749 del 7 maggio 2010.


Il 7 maggio 2010 il Consiglio di Stato con la Decisione 2749/10 annulla e vanifica la sentenza n. 7076 emessa dal TAR del Lazio nel mese di luglio dell'anno passato.
Il TAR aveva accolto due ricorsi presentati da alcuni studenti, con il supporto di diverse associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche, annullando così le Ordinanze ministeriali emanate dall'allora Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni per gli esami di Stato del 2007 e 2008.
Nella sentenza il TAR aveva affermato che "l'attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo a una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica".
Si era trattato di un pronunciamento importante ed esemplare perché interpretava e correttamente applicava il principio di laicità affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 203/1989.
Nel ricordare quella sentenza il TAR affermò che "sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico".
Ora il Consiglio di Stato nega l'esistenza di discriminazioni, ma lo fa con un ragionamento piuttosto singolare: "Chi segue religione (o l'insegnamento alternativo) non è avvantaggiato né discriminato: è semplicemente valutato per come si comporta, per l'interesse che mostra e il profitto che consegue anche nell'ora di religione (o del corso alternativo). Chi non segue religione né il corso alternativo, ugualmente, non è discriminato né favorito: semplicemente non viene valutato nei suoi confronti un momento della vita scolastica cui non ha partecipato, ferma rimanendo la possibilità di beneficiare del punto ulteriore nell'ambito della banda di oscillazione alla stregua degli altri elementi valutabili a suo favore".
È del tutto evidente che la possibilità di beneficiare di punteggi ulteriori vale altresì per coloro che si avvalgono dell'IRC o frequentano l'attività alternativa: la discriminazione, quindi, rimane.
Ma il Consiglio di Stato, dopo aver dato un grosso colpo al cerchio, ne vuole dare anche uno piccolo alla botte, cioè al Ministro Gelmini, alla quale viene ricordato che offrire l'opportunità delle attività alternative è un dovere e che questo non pregiudica la scelta di chi intende avvalersi dell'IRC, e che quest'ultimo non dà luogo a voti (e quindi neanche alla possibilità di trasformare il giudizio in voti).
Ci pare evidente, però, che il Ministro Gelmini non ha alcuna intenzione di ottemperare alle sollecitazioni del Consiglio di Stato tanto che ultimamente non solo non dice dove sono le risorse per attivare le attività alternative decimate dai tagli di Tremonti, ma ha addirittura disposto che i pochi insegnanti di attività alternative che ancora esistono e resistono non possono partecipare ai consigli di classe per la valutazione degli alunni. Con questo viene discriminata anche l'attività alternativa.
Le ultime considerazioni del Consiglio di Stato, però, non mitigano la negatività del nostro giudizio su una sentenza che finisce per violare un importante principio di uguaglianza e di pari dignità e che riteniamo incostituzionale.
Roma, 12 maggio 2010
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