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Gli esami di stato fanno storia

Oggi ha luogo un confronto con il Ministro sulle questioni più stringenti. Tra queste la questione dell’esame di Stato. Un’occasione per ripercorrere le tappe che ci hanno portato alla situazione attuale, ripercorrendo la storia di un’istituzione che per motivi opposti e su fronti opposti non ha mai mancato di creare occasioni di polemica

02/08/2006
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L’Esame di Stato nasce con la Riforma Gentile (1923). Era il cosiddetto esame di maturità perché la maturità complessiva del candidato, secondo una concezione un po’ astratta e neo-idealistica, appunto, era la cosa che si chiedeva di valutare. La commissione era formata da 5 commissari esterni (3 presidi o professori, un docente universitario e un docente di scuola privata o esterno).

L’esame era volutamente selettivo, sia per ragioni sociali (da esso dipendeva l’accesso all’università) che ideologiche (rigore e autorità erano elementi cardine di un regime fascista ai suoi esordi): il programma era quello triennale e la prima volta solo il 25% dei candidati lo superò. Ma, dopo alcune resistenze, la selezione si attenuò un po’. Nel 1937 i programmi si ridussero a quelli dell’ultimo anno. Negli anni quaranta, in tempo di guerra, il Ministro Bottai addirittura anticipò la Moratti nella costituzione di commissioni tutte interne con solo presidente e vice-presidente esterni.

La scelta di Bottai apparve poco seria e venne poi denunciata come sintomo di malcostume di un regime ormai in crisi. Dopo la Liberazione fu perciò abbandonata e nel 1947 si tornò ad una commissione esterna con due membri interni, che nel 1952 si ridussero a uno. E praticamente la composizione delle commissioni rimase così fino a Berlinguer (1998).

Il cambiamento però lo si ebbe non sul piano delle commissioni ma su quello dei programmi (che nel frattempo erano stati riportati a quelli degli ultimi tre anni) e delle prove. E avvenne, non a caso, all’indomani del 1968.

Il decreto legge 15 febbraio 1969 cambiò, in corso d’anno e con grande sollievo degli esaminandi di quell’annata, il programma (che fu riportato a quello dell’ultimo anno) e ridusse le prove a due scritte (di cui una era sempre italiano) e a una orale centrata su due discipline, da scegliersi in una rosa di quattro definita dal ministero, una a scelta del candidato e una a scelta della commissione (anche se presto si istaurò la prassi di far scegliere entrambi al candidato). Per la prova di italiano inoltre il candidato poteva scegliere in una rosa di quattro temi.

Il provvedimento, accusato spesso di aver creato un esame troppo facile e dequalificante, doveva essere sperimentale e provvisorio ma rimase in vigore per ben 29 anni.

Fu cambiato dal Ministro Berlinguer con la legge 425 deldicembre 1997. La legge stabiliva che i commissari (da 4 a 8) fossero per metà interni e per metà esterni e che ci fosse un presidente esterno, che le prove scritte salissero a tre, di cui una riguardante la totalità delle discipline, mentre la prova orale era un colloquio su tutto l’insieme delle discipline. Inoltre veniva tolta la possibilità della non ammissione all’esame e veniva invece introdotto un credito sul voto complessivo relativo all’andamento scolastico nei tre anni precedenti.

Nel 2001 per ragioni di natura contabile (per non pagare le trasferte e i maggiori oneri dei commissari esterni) i ministri dell’istruzione Moratti e del tesoro Tremonti decisero che la commissione divenisse tutta interna all’infuori del presidente, che però fu ridotto a uno solo per ogni scuola.

Balzò a quel punto agli occhi di tutti da un lato l’inutilità dell’esame e dall’altro si gridò alla eccessiva facilità dello stesso, tanto più che nel frattempo la legge sulla parità delle scuole private aveva dato anche a queste la possibilità di esami con esaminatori totalmente interni.

La necessità di un cambiamento è dunque oggi inevitabile per fare fronte a questi problemi e d’altra parte già la stessa legge 53/2003 (legge Moratti) e il decreto applicativo 226/2006 (sul secondo ciclo) ritoccavano la norma, ma in punti non sostanziali, come la possibilità di non ammettere l’alunno all’esame, o con misure molto leggere, come la limitazione del numero di candidati esterni nelle scuole paritarie anziché il rinvio di tutti costoro alle sole scuole statali, come sarebbe logico per un esame che si definisce “di Stato”.

E’ assai più diffusa l’opinione che consideranecessario tornare ad un sistema con una presenza di commissari esterni almeno al 50%, sia per giustificare un esame che richiede una certa serietà e che altrimentisarebbe inevitabilmente una ripetizione delle interrogazioni e delle prove svolte durante l’anno, sia per non dare adito a tentativi di abolizione del valore legale del titolo di studio.

Oggi il Ministro presenterà le sue proposte, che, illustreremo al termine dell’incontro insieme alle nostre valutazioni in merito, dal momento che le notizie che finora sono filtrate attraverso la stampa risultano contraddittorie.

Comunque dal punto di vista del trend relativo a promozioni e bocciature, la maggiore o minore selezione è solo in parte riconducibile al meccanismo di esame e alla composizione delle commissioni: lasciando da parte il primigenio 25% di promossi del 1924, nel dopoguerra, secondo i dati prodotti dall’Invalsi,le promozioni si assestano intorno al 71-72% per tutti gli anni cinquanta e sessanta, per salire di botto al 90,6% nel 1970-71, dopo la riforma del ’69, poi la crescita continua più lentamente fino al 94,1% del 1980-81. Alla vigilia della riforma Berlinguer (1997) le promozioni sono al 94,6%, l’anno successivo con la prima attuazione sono al 94,9%. Il dato sale al 96,8% nel 2000-01, l’ultimo esame con le commissioni semi-esterne. L’anno dopo con le commissioni tutte interne il dato è 96,7% e lo scorso anno è arrivato al 97,1%.

Insomma da questi dati si possono dedurre due conseguenze. La prima riguarda il fatto che, a parte la riforma del 1969, che ha inciso sicuramente sugli esiti dei candidati, ma che era accompagnata anche da altri fattori di crescita impetuosa della società italiana, i mutamenti nella selezione sono stati lenti e non segnati in maniera significativa dai cambiamenti organizzativi introdotti (anche se, per amore di verità, va detto che le ultime riforme prevedendo l’ammissione generalizzata all’esame hanno modificato la base di calcolo).

La seconda riguarda il fatto che gli indici di selezione di per sé non sono più da tempo una buona misura per valutare la validità di un esame e, tanto meno, per valutarne la sua utilità.

Roma, 2 agosto 2006

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