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La formazione dei docenti è regolata dalla legge e dai contratti

Le cose da fare in questa fase. Le indicazioni della FLC CGIL.

03/11/2016
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ll Ministero dell’Istruzione, dopo un’anticipazione fornita con la nota 2915 del 15 settembre 2016 pubblicata sul sito con nostra descrizione e commento, ha presentato il 3 ottobre 2016 il “Piano Nazionale per la Formazione” che a breve, dovrebbe essere adottato con un apposito decreto ministeriale, in applicazione del comma 124 della legge 107/15.

Il “Piano Nazionale per la Formazione” definisce un quadro strategico e operativo per lo sviluppo professionale del personale della scuola mediante l’indicazione di priorità nazionali (sono otto) per il triennio 2016-2019 a partire dal corrente anno scolastico 2016/2017.

Se le priorità formative individuate sono condivisibili e corrispondenti alle reali esigenze formative delle scuole, permane nell’impianto del Piano un modello che rischia di vedere nel Ministero il dispensatore dei modelli formativi.
A tal proposito, nonostante la ministra Giannini abbia sbandierato i 325 milioni di investimenti (la maggior parte dei quali provenienti dai Fondi Pon), la parte che verrà distribuita alle scuole polo delle reti di ambito è esigua, 75 milioni nel triennio, rispetto a quanto tratterrà a sé il ministero.

La forte opposizione svolta al tavolo dalla FLC CGIL e dagli altri sindacati ha portato a far sì che l’obbligatorietà della formazione sia intesa prioritariamente come partecipazione ad attività formative coerenti con i contenuti del Piano di Formazione di Scuola in coerenza con il PTOF.
Ma ha anche portato all’eliminazione del proposito dell’Amministrazione di imporre 125 ore di formazione obbligatoria nel triennio. In questo senso sono destituite di ogni fondamento le notizie che circolano sul web circa l’obbligo di svolgere queste 125 ore (l’Amministrazione avrebbe voluto ma è un desiderio rimasto sulla carta).

Il piano, al capitolo 6, prevede che: “Le azioni formative per gli insegnanti di ogni istituto sono inserite nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa, in coerenza con le scelte del Collegio Docenti che lo elabora sulla base degli indirizzi del dirigente scolastico. L’obbligatorietà non si traduce, quindi, automaticamente in un numero di ore da svolgere ogni anno, ma nel rispetto del contenuto del piano. Quindi il piano stesso chiarisce che è affidato al collegio dei docenti la realizzazione, l’elaborazione e la verifica del Piano di formazione inserito nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF).
Peraltro si deve rilevare che positivamente il Piano indica la necessità di coinvolgere anche il personale Ata nell’organizzazione dei processi formativi di scuola.

La formazione si fa secondo legge e contratto

In realtà, allo stato dei fatti, al di là delle 88 pagine del Piano licenziato dal MIUR, la formazione è regolata dalla legge e dal contratto.
La legge, la 107/15, che al comma 124 afferma che: la formazione è obbligatoria, permanente e strutturale; il MIUR indica le priorità nazionali nel Piano di formazione triennale dopo aver sentito i sindacati rappresentativi; le attività sono definite dalle scuole in coerenza con il PTOF e con il Piano di miglioramento previsto dal DPR 80/13.

Il CCNL è quello della scuola: art. 6, c. 2 lett d), art. 64 e art. 66.

Il MIUR ha tentato di appropriarsi interamente dell’argomento, volendo quantificare perfino gli impegni di formazione da svolgere nel triennio ribattezzandoli “Unità formative”.
Per noi è evidente, ma dal comportamento del MIUR dopo i nostri incontri, ora è evidente anche per il MIUR, che la materia è oggetto di contrattazione: i carichi di lavoro e l’organizzazione di lavoro derivanti da questi impegni sono eminente e indiscutibile materia di contratto.
Al MIUR non rimane altro che aprire il tavolo di trattativa nazionale se vuole pienamente implementare il Piano appena divulgato ma non ancora formalizzato tramite decreto come dovrebbe fare.

Reti per la formazione

Confermiamo quanto abbiamo già sostenuto: le reti di ambito sono un’invenzione del MIUR tanto che la stessa legge 107/15 non ne fa cenno. L’invenzione è contenuta in una nota del 7 giugno 2016 che è stata qualificata dallo stesso MIUR come documento di studio.
Tuttavia l’Amministrazione insiste, sulla base dei commi 70-72 della legge 107/15, a dare per scontata la formazione delle reti di ambito.
Noi pensiamo che se le reti, anche costituite a livello di ambito, hanno scopi ben definiti (esempio la formazione) cessano di avere il carattere di reti “generaliste” (cioè che si occupano di tutto) e assumono il carattere precipuo di reti di scopo. In questo caso è legittimo che si costituiscano ma, in questo caso, l’adesione non può essere approvata dal solo Consiglio di Istituto bensì anche dal Collegio dei docenti. Anche perché la non adesione su questioni specifiche potrebbe significare la non fruibilità delle risorse che il MIUR ha deciso di mettere a disposizione solo tramite reti di ambito (e la materia della formazione è una di tali questioni).
Rimane in generale valido il nostro punto di vista, che l’adesione alle reti deve essere basata su scopi precisi e non deve consegnare alle reti di ambito il governo e la gestione di “ogni” materia. In questo senso è esemplare il caso di alcuni Consigli di Istituto che hanno deliberato di aderire alle reti di ambito ma non ad esempio per la trattazione di fatti amministrativi quali ricostruzione di carriera, TFR, pensioni ecc.
Peraltro non è accettabile che a rappresentare la scuola nella rete e negli organi di governo della rete siano i soli dirigenti scolastici: accanto al rappresentante legale (il dirigente scolastico) occorre anche prevedere altri soggetti (docenti, Ata, genitori, studenti). Nel caso della formazione docenti sicuramente un docente.

Le azioni da mettere in campo

Quali sono, dunque, i terreni da praticare nelle scuole in questa fase secondo legge e contratto?

  1. Il Collegio dei docenti ha la piena facoltà di definire il Piano di formazione: non vi è altro soggetto che possa farlo. Esso delibera i contenuti, le modalità, le procedure dello svolgimento della formazione. Ciò vuol dire che anche la stessa definizione delle Unità formative come declinate dalla nota del 15 settembre 2016 è nella facoltà piena del Collegio dei docenti.
  2. Rimane il diritto individuale del docente di fruire fino a 5 giorni di permesso per la formazione.
  3. Le RSU chiedono l’informativa preventiva sui criteri per la fruizione dei permessi per la formazione
  4. Si aderisce alle reti per la formazione (di ambito o di territorio più ristretto o di ordine di scuola ecc.) ma approvandolo anche nel Collegio dei docenti e non nel solo Consiglio di Istituto.
  5. Nelle delibere di adesione del Collegio e del Consiglio di Istituto è opportuno porre la questione di chi rappresenta (è delegato a rappresentare nella rete) la scuola che non sia il solo dirigente scolastico.
  6. Le Rsu contrattano i criteri per riconoscere sul piano salariale o come riposo compensativo l'impegno aggiuntivo svolto dei docenti per partecipare alla formazione oltre l'orario stabilito dal Ccnl.
  7. L’assemblea del personale Ata formula le sue proposte di formazione che vengono recepite nel Piano delle attività e armonizzate con il piano di formazione del personale docente. Vedi articolo 66 del Ccnl.

NB: Occorre porre in ogni sede la questione della partecipazione ai corsi di formazione “anche” del personale a tempo determinato che voglia liberamente partecipare. La buona scuola ha tagliato fuori da questa partita il personale precario: non lo possiamo lasciare passare sotto silenzio.

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