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I nodi di un nuovo modello di governo nel sistema istruzione e formazione

Il report del Convegno nazionale dei Dirigenti scolastici a Firenze del 14 e 15 ottobre 2010.

28/10/2010
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Il 14 e 15 ottobre si è svolto a Firenze il Convegno nazionale "Responsabilità dirigenziale e sistema di governo per la qualità della scuola pubblica". Un'ampia sintesi delle due giornate è già pubblicata sul nostro sito nella sezione delle web-cronache, insieme ai testi integrali di diversi interventi. I lavori della prima e seconda giornata.

Oggi, invece, pubblichiamo di seguito il report scritto da Antonio Valentino che è anche intervenuto al convegno come relatore.

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I nodi di un nuovo modello di governo nel sistema istruzione e formazione

di Antonio Valentino

“Anche a sinistra manca un’idea profonda del cambiamento che è intervenuto. L’unica forma di lotta messa in atto è una forma di ‘resistenza’; ma noi non dobbiamo resistere. Dobbiamo costruire e attaccare. Deve emergere una linea propositiva perché la resistenza è una forma di conservazione”. Così Luigi Berlinguer nel suo applauditissimo intervento al Convegno annuale dei Dirigenti scolastici della FLC CGIL su “Responsabilità dirigenziale e sistema di governo per la qualità della scuola pubblica” (Firenze, 14 e 15 ottobre).

L’intervento è seguito alla presentazione dell’iniziativa da parte di Antonio Bettoni, vicepresidente dell’associazione Proteo Fare Sapere, e dalla relazione - preoccupata, ma insieme aperta e coraggiosa - del coordinatore nazionale Gianni Carlini. Nella relazione non sono mancate critiche alle politiche governative “antiautonomistiche e amministrativistiche”, ma molto si è insistito anche su una linea di ascolto e di proposta “per la gestione del cambiamento e per il miglioramento della scuola”; fuori da arroccamenti e chiusure corporative, ma avendo comunque la barra su principi irrinunciabili, quali: l’equità, l’uguaglianza delle opportunità e ‘l’uguaglianza diseguale’ per quanti sono penalizzati da situazioni di svantaggio, la democrazia nei rapporti di lavoro, oggi compromessa da politiche autoritarie.

La prima giornata è stata segnata anche da una serie di altri interventi importanti. Quello di Anna Armone che, dentro il discorso, centrale nel convegno, della ricerca di un nuovo modello di governance per le scuole e per il sistema istruzione e formazione, ha insistito sulla necessità di istituzionalizzare le reti di scuola, superando la pratica degli accordi e assumendo invece le reti istituzionali “come soggetti formalmente legittimati a interloquire con gli enti territoriali” nella definizione delle politiche scolastiche sul territorio e nella governance decentrata: “urge istituzionalizzarli per inserirne le funzioni, ad esempio, negli statuti delle regioni”.

L’istituzionalizzazione di tali soggetti, rappresenterebbe - ha sostenuto la relatrice -, il connettivo obbligatorio capace di avviare nuovi modelli di governance e l’unica via per garantire alle scuole un funzionamento efficace. “Solo un soggetto riconosciuto e istituzionalizzato – ha insistito - potrebbe frenare l’anarchia di un sistema nazionale a diverse velocità e connotazioni”.

L’intervento di Franco De Anna ha affrontato il tema della rendicontazione sociale come dispositivo obbligato per responsabilizzare le scuole rispetto agli esiti delle loro attività. Egli, dopo un’attenta disamina del rapporto tra la rendicontazione sociale come “filosofia della produzione pubblica” e il sistema di istruzione, chiarisce quali siano per lui i terreni e la “catena di senso” della rendicontazione. Qui ne richiamo soprattutto due:

  • il rapporto tra istruzione superiore e sviluppo economico (evidenziabile attraverso la relazione flessibilità curricolare/sviluppo locale)
  • il superamento del paradigma dell’ordinamento e la sfida dell’Autonomia scolastica (evidenziabile attraverso la “padronanza” dell’organizzazione del lavoro: risorse, lavoro, sviluppo organizzativo; l’efficacia dei modelli organizzativi: ambienti di apprendimento, curricoli; controllo, valutazione, miglioramento).

Luciano Benadusi, professore di sociologia dell’educazione all’Università “La Sapienza” ha invece messo sotto osservazione lo scenario entro cui collocare il tema della governance e i suoi aspetti più significativi. Fra questi, ha evidenziato, soprattutto, i caratteri del modello sociale del nostro paese che si distingue per la scarsa importanza data all’educazione, la debolezza del valore della conoscenza nella nostra società e la scarsa considerazione, da parte del nostro ceto politico, nei confronti dell’istruzione e della formazione; caratteri che fanno da freno alla possibilità di politiche innovative. Questo spiega in parte l’involuzione che la riforma dell’autonomia ha progressivamente subito negli anni successivi alla sua emanazione, caratterizzati da legificazioni sempre più restrittive e centralistiche. “Quello di oggi – ha affermato – è un simulacro di autonomia, in quanto la barra si è spostata sugli ordinamenti anziché sui caratteri e gli ambiti dell’autonomia previsti dall’art. 21 della L. 59: oggi la sfida è portare a termine il percorso cominciato proprio con la L. 59”. Conclusivamente ha richiamato come il vero problema oggi è dato dalle restrizioni economiche e dall’asfissia del progetto che c’è dietro: se non si risolve questo problema, anche il discorso della governance non ha gambe per camminare.

Negli interventi del giorno successivo, i temi della governance diventano oggetto di una riflessione più stringente e mirata e puntano ad evidenziare le questioni che vanno tenute presenti nel definire natura e caratteristiche di nuovi modelli. Tra queste, quella dell’autoreferenzialità - causa di chiusure, arroccamenti corporativi, blocco di qualsivoglia sviluppo professionale – e quello di un collegio docenti sostanzialmente irresponsabile rispetto agli esiti della propria azione educativa e demotivato rispetto a pratiche didattiche centrate sull’apprendimento e sulla individualizzazione dei percorsi formativi. Ma, anche, quella dell’assenza perdurante di ogni forma di valutazione del funzionamento della scuola (e quindi del lavoro di docenti e dirigenti) e di rendicontazione sociale. L’autoreferenzialità – si è detto in più interventi – si può vincere attraverso una governance decentrata e una “multiregolazione” tra i soggetti responsabili sul territorio della qualità del funzionamento delle scuole e delle politiche scolastiche in genere.

Sono stati anche riproposti anche alcuni risultati ritenuti condivisibili di una ricerca di TRELLE (2007) che ipotizzano, assieme a funzioni e prerogative più estese del DS, una “leadership distribuita”, ma anche una autonomia statutaria delle singole scuole (quanti e quali organi e con quali poteri).

L’intervento di Dario Missaglia, molto applaudito, ha messo al centro della riflessione il senso sociale del lavoro del dirigente scolastico, collocandolo nel più ampio scenario della crisi – questa sì epocale – che stiamo vivendo e indicando vie d’uscita in grado di contrastare il clima di regressione culturale che si respira nel paese e di recuperare centralità all’istruzione come fattore di uguaglianza e come “ascensore” sociale. “Oggi si rischia ancora – ha concluso - il ritorno al modello verticale: basti osservare il modo autoritario di porsi di tanti direttori di USR nei confronto dei DS. Ma anche i tentavi di affidare tutto al dirigente scolastico vanno considerati come un rischio. Comunque è importante che il sistema di valutazione delle scuole parta dalla valutazione del DS”.

La comunicazione, interessantissima, della dottoressa Antonella Turchi, responsabile dell’unità italiana “Eurydice”, la rete di informazione sull’istruzione in Europa, ha riguardato i livelli di autonomia nei vari paesi europei, distinguendo in basi a condivisi indicatori, quelli ad autonomia completa, limitata, inesistente. Il quadro emerso è risultato utile per meglio collocare il nostro paese dentro la cornice europea e allargare i nostri orizzonti in riferimento ai modelli di governabilità dei sistemi scolastici.

L’intervento conclusivo sulle tematiche della governance è svolto da Annamaria Poggi, professore di diritto costituzionale all’università di Torino, che muove, nella sua analisi, da preliminari considerazioni sull’autonomia delle istituzioni scolastiche – da inquadrare sempre, nella sua riflessione, nel contesto delle altre autonomie – e sul federalismo come processo storico che in Italia è chiamato a confrontarsi con la forza delle autonomie territoriali. Va richiamato – afferma – che il processo delle autonomie scolastiche, iniziato nel 1997, “prevedeva un vero e proprio patto tra autonomie e autonomia scolastica e l’autonomia scolastica era considerata il perno delle autonomie territoriali, strumentali alla realizzazione dell’autonomia scolastica”. Già sul nascere – argomenta - quel disegno comincia a perdere la sua impostazione iniziale: già nel ’98 col 112 l’autonomia scolastica viene posposta a quella degli EE.LL (e la stessa legge di modifica del titolo V del 2001 non scioglie il nodo). Oggi – prosegue – assistiamo a una ripresa del centralismo burocratico e, conseguentemente, al fallimento dell’obiettivo del conseguimento dell’uguaglianza – formale e sostanziale -, difficile se non impossibile in un sistema centralizzato. Il federalismo va perciò visto come uno strumento utile per conseguire su tutto il territorio nazionale tale obiettivo, perché più in grado di rimuovere i fattori sfavorevoli al raggiungimento dei LEP (livelli essenziali di prestazioni): sarebbe fuorviante – afferma – concepire il federalismo in una chiave di lettura che vede il Nord e il Sud contrapposti, quasi che i problemi di uguaglianza ed equità siano circoscrivibili a una sola parte del paese. Il Master Plan del 2006 prevedeva un percorso ben dentro questa logica (e, tra l’altro, con una forte valorizzazione dei DS nei processi decisionali): intese tra stato e regioni da avviare anche in tempi diversi, ma nell’ambito di un quadro legislativo uguale per tutti. La bozza oggi è ferma – chiarisce - perché il MIUR l’ha respinta, preferendo intese separate, in assenza di un accordo quadro. Anche la legge Calderoli sul Federalismo non porta elementi di chiarezza al riguardo. “Senza un accordo quadro, il rischio di accentuare le disparità e le differenze si fa concreto” – dice -. E’ sulla base di questa analisi che la Poggi prospetta, come già avevano fatto altri interventi, pur muovendo da ragionamenti diversi, la necessità di riprendere il cammino dell’Autonomia scolastica, focalizzando l’attenzione sulla valorizzazione delle reti di scuola “strutturate normativamente”, sullo sviluppo di sistemi interni di autovalutazione e sulla possibilità di dare vita, assieme ad altri soggetti, a fondazioni concepite in un’ottica diversa da quella del disegno di legge “Aprea”.

La sessione pomeridiana è stata tutta centrata sulle problematiche negoziali nella scuola dopo la riforma ‘Brunetta’. La relazione del professor Mario Ricciardi (Università di Bologna), anche in riposta alle sollecitazioni di Gianni Carlini, e il dibattito che ne è seguito, hanno offerto ai partecipanti strumenti di conoscenza e di approfondimenti importanti su una questione che attiene non solo alla cultura professionale del dirigente scolastico, ma anche, più in generale, alla cultura democratica del nostro paese.

Nel pomeriggio della prima giornata ha portato all’iniziativa i suoi saluti e un suo contributo il segretario generale della FLC CGIL, Domenico Pantaleo.

Al centro del suo intervento, le difficoltà gravissime della nostra scuola. Che non nascono solo dai tagli. Purtroppo – afferma – i tagli non si fermeranno agli otto miliardi di euro previsti, ma proseguiranno, perché è in atto una operazione ideologica per cui la riforma si fa attraverso i bilanci, sottraendo risorse alle scuole. Ne consegue – prosegue – che la scuola sta perdendo il senso della propria missione, dal momento che il governo ha in mente solo una scuola che costa meno, mettendo così in discussione il valore della scuola pubblica e favorendo la scuola privata. Rivendica a questo punto, a nome dell’organizzazione, il rispetto della Costituzione e afferma che, di fronte a politiche che remano contro l’idea di una scuola pubblica di qualità, non si può giocare in difesa, ma bisogna lanciare proposte. – Un cardine della nostra proposta – continua il Segretario – è in primo luogo l’autonomia. Conservarla e migliorarla, affidando strumenti e responsabilità alle scuole e ai territori, in funzione dell’innovazione, costituisce un fattore straordinario di successo formativo, di miglioramento dell’organizzazione, di promozione della qualità. In questa ottica, il federalismo va visto come un o strumento per unire, creare solidarietà, e non per dividere e deve enfatizzare le capacità di autogoverno e dell’assunzione di responsabilità -. In una autonomia partecipata il ruolo della dirigenza scolastica diventa fondamentale. Non così invece nella scuola di Brunetta che vuole un dirigente asservito ai governi ed esecutore passivo delle politiche governative, fuori di ogni autonomia professionale e dirigenziale. Il segretario conclude il suo intervento richiamando gli altri due punti essenziali della proposta politica della FLC CGIL: il superamento del precariato, da considerare unitamente al problema del reclutamento, e la valorizzazione delle professionalità.

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