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Delegificazione sulla parità scolastica

Il Consiglio di Stato dice no alla proposta del MIUR

08/09/2005
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1. Il Consiglio di Stato ha bocciato lo schema di regolamento governativo recante il “ definitivo superamento, ai sensi dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 marzo 2000, n. 62, sulla parità scolastica, delle disposizioni di cui alla Parte II, Titolo VIII, del testo unico approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 e successive modificazioni” proposto dal MIUR con nota inviata il 22 maggio u.s.. Infatti con il parere n. 2492/05 del 22 giugno u.s. il Consiglio di Stato ha sentenziato che “ non vi sia luogo a provvedere sullo schema in oggetto, trattandosi di atto non avente natura normativa”.

Con il parere negativo viene sconfitta la linea del Ministro Moratti che, utilizzando le norme sulla delegificazione, con un intervento di fine legislatura voleva apportare modifiche alle attuali norme che regolano la parità scolastica scavalcando lo stesso Parlamento. Come pure trovano una battuta d’arresto le richieste avanzate dal Comitato per la scuola della società civile, a cui hanno aderito associazioni di genitori, docenti, istituzioni che operano in campo scolastico-educativo (Fidae, Compagnia delle Opere, Agesc, Cnos, Ciof, CL ecc.), che il 13 giugno u.s. avevano inviato alla maggioranza parlamentare e al Governo un appello con cui venivano sollecitati “interventi di fine legislatura” in tema di parità scolastica e di riforma del sistema di istruzione e formazione.

In questo quadro si inserisce il Decreto del MIUR del 28 luglio 2005 con cui sono stati implementati di oltre il 40% i contributi alle famiglie, indipendentemente dal reddito, per le spese sostenute per l’iscrizione dei propri figli alle scuole paritarie. Intervento auspicato dalle associazioni sopra ricordate e realizzato dal Ministro con il ricorso alla “solita” decretazione.

Appare evidente che, nella circostanza in specie, lo strumento ipotizzato dal Ministro per adempiere a quanto previsto dal comma 7 dell’art.1 della citata legge di parità questa volta non ha funzionato. La bocciatura del Consiglio di Stato segna, pertanto, una sconfitta politica e giuridica del Ministro dell’istruzione.

2. Come è noto la legge 10 marzo 2000, n. 62 – recante norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione – prevede, all’art. 1, comma 7, che “ Allo scadere del terzo anno scolastico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della pubblica istruzione presenta al Parlamento una relazione sul suo stato di attuazione e, con un proprio decreto, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, propone il definitivo superamento delle citate disposizioni del predetto testo unico approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, anche al fine di ricondurre tutte le scuole non statali nelle due tipologie delle scuole paritarie e delle scuole non paritarie”.

Orbene, dopo aver trasmesso alle Camere, in data 31 marzo 2004, una relazione sullo stato di applicazione della legge, il Ministro ha ritenuto, forzando il dettato legislativo, di procedere alla parziale abrogazione del testo unico del 1994 tramite un regolamento di delegificazione. Lo schema prevedeva la classificazione delle scuole non statali nelle due sole tipologie delle scuole paritarie e delle scuole non paritarie, la disciplina relativa a ciascuna delle due categorie, un’articolata fase transitoria e l’abrogazione di una serie di disposizioni contenute nel testo unico n. 297 del 1994 e nel regio decreto n. 1297 del 1928.

Pur non intervenendo direttamente sul merito delle proposte il Consiglio di Stato ha sancito la non legittimità del “modus operandi” adottato dal MIUR, evidenziando la sussistenza di vari elementi che inducono a non attribuire valore normativo all’intervento proposto dal MIUR: nonostante la cripticità del dettato legislativo di cui al comma 1 dell’art. 7 della L.62/2000, sono difficilmente superabili le perplessità dovute al ricorso allo strumento del regolamento di delegificazione, ex art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988. E ciò anche in considerazione che la stessa disposizione legislativa non individua lo strumento con cui realizzare il superamento delle attuali norme.

La stessa analisi testuale della legge porta il Consiglio di Stato a ritenere che il superamento delle norme del testo unico impone un intervento che incide sul livello primario delle fonti del diritto in quanto non si limita alla sola proposta di abrogazione ma dispone, nel contempo, una nuova disciplina. Ne consegue che il meccanismo della delegificazione non è idoneo ad operare.

Del resto la stessa legge di parità non fa alcun riferimento all’art 17, comma 2 , della legge n. 400 del 1988, né tanto meno fa riferimento né a un regolamento governativo né ad un decreto del Presidente della Repubblica. La legge 62/2000 parla solo di decreto del Ministro e l’assenza all’autorizzazione all’esercizio della potestà regolamentare del Governo esclude la possibilità di ricorrere allo strumento della delegificazione.

Lo stesso schema di delegificazione proposto dal MIUR non si limita ad una parziale abrogazione delle norme in questione ma prospetta una disciplina normativa nuova e sostitutiva che incide sulle fonti primarie del diritto il che non è in alcun modo ipotizzabile con lo strumento giuridico prospettato. Le osservazione del Consiglio di Stato trovano inoltre ulteriore conferma dal rilievo che nella sua proposta il MIUR modifica l’assetto dei contributi statali alle scuole paritarie senza che vi sia alcun meccanismo legislativo di copertura finanziaria.

In ultimo il Consiglio di Stato sottolinea che “la procedura speciale disposta dalla legge 62 del 2000 prevede che il parere delle Commissioni Parlamentari sia fornito prima del decreto del Ministro, cosa che invece non è accaduta nel caso di specie, dove il decreto del Ministro viene considerato una proposta al Governo ai fini dell’emanazione di uno schema di regolamento di delegificazione”.

3. Sulla base delle considerazioni sopra riassunte il Consiglio di Stato è stato indotto a non configurare l’intervento previsto dal comma 7, dell’art.1 della legge n. 62/2000 come regolamento di delegificazione secondo quanto prospettato dallo schema del MIUR o comunque come atto normativo. Da ciò ne consegue che sullo schema non vi sia luogo da parte del Consiglio di Stato ad operare ai sensi dell’articolo 17, comma 25, lett. a), della legge n. 127 del 1997, nonché ai sensi dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988.

Il pronunciamento del Consiglio di Stato appare decisamente interessante sotto il profilo politico proprio nelle considerazioni finali, laddove suggerisce l’iter “corretto” da seguire per realizzare l’intervento di cui al comma 7 dell’art. 1 della legge. Ovvero indica di seguire l’originario percorso previsto dalla legge inserendo la proposta del MIUR “..nel processo politico-istituzionale di attuazione e monitoraggio della riforma del 2000, dando atto dello sviluppo del sistema scolastico e delle prospettive che esso dischiude”. La proposta, quindi, potrebbe concretizzarsi in una “richiesta volta ad ottenere, dal Parlamento, un indirizzo circa le iniziative da assumere nella prospettiva, per l’appunto, del superamento delle disposizioni del testo unico”.

Indubbiamente con queste ultime considerazioni il Consiglio di Stato ha ritenuto importante per un’analisi interpretativa della legge considerare gli ordini del giorno in materia che hanno accompagnato l’approvazione della legge sulla parità scolastica n. 62 del 2000.
In particolare il Consiglio di Stato ha tenuto in debito conto l’ordine del giorno approvato dalla Camera con il quali si impegnava il Governo a non identificare la proposta del Ministro “ …in alcuna delle forme di esercizio diretto della potestà normativa del Governo a norma della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, e che, nella fattispecie, non ricorre, in particolare, una delegificazione della materia a norma dell'articolo 17, comma 2, della predetta legge, né, d'altra parte, può ipotizzarsi una proposta del Ministro presentata con proprio decreto”.
Questo a significare che le iniziative tesi al superamento delle disposizioni del testo unico vanno assunte nelle forme previste dall’ordinamento vigente ovvero attraverso specifici interventi aventi valore legislativo.

La scorciatoia imboccata dalla Moratti e appoggiata dal Governo tesa a introdurre in maniera impropria la propria idea liberista di scuola paritaria in barba alla legge e al Parlamento deve registrare una duplice clamorosa bocciatura sia sul piano giuridico che politico. Sul piano giuridico perché è stata messo in tutta evidenza l’inefficienza e l’approssimazione degli uffici del Ministero. Sul piano politico perché viene sconfitta l’idea di non tener conto, pur di soddisfare le richieste del proprio elettorato, delle regole vigenti in questa Repubblica. Ora per la Moratti il confronto con il Parlamento non può essere evitato.

Roma, 8 settembre 2005

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