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Decreto di “semplificazione” degli enti di ricerca: l'analisi dettagliata

Dopo l’incontro al MIUR inizia la battaglia per cambiare e chiarire alcune norme del decreto e perché la legge di stabilità preveda risorse e stabilizzazioni nella ricerca pubblica.

08/09/2016
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Dopo la lettura dell’articolato e della relazione illustrativa, si conferma la nostra prima valutazione politica. La volontà politica del MIUR di rendere in tutto e per tutto gli enti di ricerca terreno di sperimentazione di una nuova “Riforma Gelmini” sul reclutamento si è arenata ma purtroppo anche alcuni contenuti potenzialmente positivi della delega si trasformano nel loro opposto in una sorta di eterogenesi dei fini sotto l’ombra del Mef.

Il nostro approfondimento

Il governo non si preoccupa di infrangere i vincoli di spesa se si tratta di finanziare le imprese private per decine di miliardi, mentre le risorse per la ricerca pubblica sono conteggiate e vidimate con tutti gli strumenti a disposizione. Insieme agli elementi pericolosi presenti nelle precedenti bozze del decreto, si sono persi anche tanti aspetti di allargamento dell’autonomia reale degli enti che pure erano previsti dalla delega.

Il meccanismo di governance disegnato dal decreto è un compromesso tra l’estensione del Decreto legislativo 213/09, che si applicava solo agli enti vigilati dal MIUR, a tutto il settore della ricerca e la resistenza delle amministrazioni ad accogliere i pur deboli accenni ad una democrazia interna di quella legge, per cui permangono le norme di riferimento specifiche di ciascun ente, così come la vigilanza affidata al singolo ministero.

Sostanzialmente in questo compromesso al ribasso si sono persi possibili e auspicabili interventi estensivi del concetto di autonomia,in particolare quelli relativi alla costituzione di organismi “democratici” quali i consigli scientifici, nonché vari passaggi di confronto sindacale. Ciò, lo ribadiamo, frutto del lavoro di opposizione da parte delle amministrazioni che più tengono a mantenere inalterate gerarchie e catene di comando

Il meccanismo di reclutamento è insostenibile. Il limite dell’80% del trasferimento ordinario dello Stato, più rigido di quello previsto per le università, impedisce le assunzioni nella gran parte degli enti, come peraltro evidenziato dalla stessa relazione tecnica del governo. Se a questo si aggiungono i vincoli preesistenti, come quello della pianta organica, non esplicitamente eliminata, e quello del turnover, anch’esso ambiguamente riproposto nel comunicato del ministero, si ha un peggioramento della pur non rosea attuale condizione. Il divieto di assumere personale tecnico amministrativo se si supera l’ulteriore “tetto” del 30% è del tutto insensato. Ad oggi tecnici e amministrativi rappresentano complessivamente la metà del personale degli enti, di ruolo e a tempo determinato. Si tratta non solo di un insopportabile vincolo alle possibilità assunzionali: altro che autonomia ma del viatico per veri e propri esuberi. La valorizzazione del merito attraverso dei “premi”, che riguarderebbe inspiegabilmente solo ricercatori e tecnologi, è in concorrenza con le stesse risorse assunzionali e sottratta al confronto sindacale. La chiamata diretta per “meriti eccezionali” fino al 10% dell’organico è davvero uno scandalo che non merita commenti ulteriori.

Quindi nella versione approvata dal Consiglio dei ministri, oltre ad essere state sradicate alcune delle norme più pericolose, sono state espunte anche molte delle possibili novità positive che pure erano presenti nelle versioni circolate in bozza nei mesi scorsi:

  • non è prevista nessuna soluzione alla vertenza avviata in molti enti sul riconoscimento dell’anzianità a tempo determinato.
  • Non è previsto nessun meccanismo per “risolvere” l’annosa questione degli incarichi dirigenziali a personale inquadrato nel profilo di ricercatore e tecnologo.
  • È scomparso lo sgravio dell’IRAP per i lavoratori a tempo determinato.
  • Sulle missioni continua ad applicarsi il taglio previsto per tutta la Pubblica Amministrazione dal DL 78/10.

Rimangono alcune - poche - misure di semplificazione positive, come quelle sugli acquisti, la mobilità e i congedi.

Sulla questione della “premialità” degli enti si registrano alcuni segnali positivi che tentano di svincolarsi dall’abbraccio mortale con l’ANVUR, rendendo meno “automatico” il meccanismo che lega la valutazione al finanziamento degli enti, ma d’altra parte si prefigura un allargamento anche agli enti non vigilati dal Miur dei poteri dell’ANVUR.

Nel complesso è evidente che si apre una doppia battaglia.

La prima è quella per  di chiarire i contenuti di alcune norme ambigue, modificare o stralciare quelle pericolose di questo decreto, in particolare quelle sui vincoli incrociati sul reclutamento (80%, turnover, 30% per tecnici e amministrativi, pianta organica), che - se non chiarite in senso positivo - invece di dare autonomia assunzionale agli enti rischiano di commissariarne la politica assunzionale, peggiorando il disastroso quadro attuale e mettendo a rischio concreto il futuro lavorativo di migliaia di precari che da anni lavorano negli enti di ricerca. Già nel corso dell’incontro al MIUR di martedì 6 settembre abbiamo puntualmente evidenziato i punti critici, che riporteremo nel prossimo tavolo che si terrà a ridosso del passaggio parlamentare. Le ambiguità vanno chiarite nel testo e non lasciate a un lunghissimo successivo periodo di pareri e circolari discordanti.

La seconda è legata alla legge di stabilità, nella quale devono essere previsti finanziamenti aggiuntivi per gli enti di ricerca, in modo da aumentare il “denominatore” del tetto previsto da questo decreto, e meccanismi di stabilizzazione dei precari.