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CNR: riorganizzazione sì ma non restaurazione

L’autonomia della Ricerca sancita dall’art. 33 della Costituzione deve essere difesa.

04/11/2021
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In un momento estremamente delicato per il Paese e per la Ricerca Pubblica apprendiamo dal testo della legge di Bilancio 2022 approvata il 28 ottobre dal Consiglio dei ministri, che il Governo ha deciso di mettere in campo un processo di riforma del più grande Ente di ricerca pubblico italiano. Infatti, tra le misure disegnate dal Governo, all’art. 100 spicca un “Piano di riorganizzazione e rilancio del Consiglio Nazionale delle Ricerche”.

La FLC CGIL si chiede quale logica porti, nel pieno della definizione degli interventi per il PNRR, con 42 riforme da approvare in 100 giorni, a paralizzare nei fatti la capacità progettuale del più grande Ente di ricerca italiano in un momento storico in cui il Paese avrebbe proprio maggior bisogno delle competenze e delle professionalità espresse dal Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Nella classifica stilata dalla rivista Nature per il 2020, il CNR compare al 138 posto, seconda istituzione Italiana dopo l’INFN (all’87° posto) e davanti all’Università di Padova (326° posto), terza istituzione italiana e prima delle università italiane. La FLC CGIL ritiene che, nonostante la miopia politica e la farraginosità amministrativa degli ultimi anni, il CNR continui a rappresentare scientificamente una eccellenza e un vanto, anche sul piano internazionale, per il Paese.

In tal senso la FLC CGIL apprezza il (re)inserimento in legge di bilancio un incremento dei fondi destinati al finanziamento ordinario che nel corso degli ultimi 20 anni erano stati progressivamente ridotti. Tuttavia, esprime la sua forte preoccupazione per un piano di riorganizzazione che sostanzialmente limita l’autonomia e indipendenza dell’Ente, esautora e marginalizza gli organi statutari e con essi la rappresentanza dei lavoratori in essi presenti garantita dalla legge 218/2016, ma soprattutto ignora la comunità scientifica interna con la proposizione di una riorganizzazione, ancora una volta, top down.

L’art. 100, infatti prevede al comma 2 l’istituzione di “un Comitato strategico per il rilancio dell’ente (Supervisory Board), composto da cinque esperti, italiani o stranieri, di comprovata competenza ed esperienza, anche gestionale, acquisite nel settore della ricerca nazionale ed internazionale. Comitato strategico il cui parere sul piano di riorganizzazione e rilancio, proposto dal Presidente dell’Ente, è vincolante per l’approvazione da parte del Ministero dell’Università e Ricerca e del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Inoltre è previsto che il piano medesimo sia approvato “in deroga alle disposizioni, normative e statutarie, che prevedono, in relazione alle specifiche misure previste dal piano, altri pareri, intese o nulla osta, comunque denominati” (comma 3).

Colpisce che da pochi giorni si fosse provveduto alla elezione dei tre componenti interni del Consiglio Scientifico, che avrebbero dovuto affiancarsi ai 7 componenti nominati dalle principali Accademie scientifiche italiane ed internazionali con il compito di esprimere un parere sul documento di visione strategica decennale, sul piano triennale di attività e sui progetti strategici di interesse nazionale, anche avvalendosi di peer review internazionali. Ora invece Il piano di riorganizzazione e rilancio assume la funzione di piano triennale di attività ai fini dell’applicazione della normativa vigente” (comma 1).

Con buona pace della Carta Europea del Ricercatore che a parole tutti richiamano come atto fondamentale, ma che nella pratica viene continuamente svilita, dove la partecipazione dei Ricercatori alla governance è chiaramente descritta: “I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori dovrebbero riconoscere che è del tutto legittimo, nonché auspicabile, che i ricercatori siano rappresentati negli organi consultivi, decisionali e d’informazione delle istituzioni per cui lavorano,…“.

Colpisce anche che ai componenti del Comitato strategico, scelti senza alcun processo di selezione pubblica, spetti un compenso che complessivamente comporta un onere di spesa pari a 232.700 euro per ciascuno degli anni 2022, 2023 e 2024.

Certo diverse sono le questioni che andrebbero affrontate nel CNR, dall’assetto in dipartimenti sostanzialmente disciplinari che mortificano il carattere intrinsecamente interdisciplinare dell’Ente, all’assenza di programmi dedicati alla ricerca di base, dalla mancanza di valorizzazione della professionalità del personale, all’assenza di politiche assunzionali capaci di prevenire il formarsi della piaga del precariato, alla difficoltà di affrontare con la dovuta efficacia le stabilizzazioni necessarie a risolvere le storture che il precariato ha generato e genera.

Pur ritenendo necessario una riorganizzazione per rendere più efficace dal punto di vista amministrativo l’Ente, per liberarlo dai vincoli che lo vedono imprigionato in norme, al pari di una PA e che non tengono conto della specificità della Ricerca, la FLC CGIL ritiene il Piano di riorganizzazione e rilancio del Consiglio Nazionale delle Ricerche – C.N.R. previsto dall’art.100 della legge di Bilancio, un passo indietro inaccettabile ed auspica una riformulazione significativa dell’art. 100.

Ma se riorganizzazione deve essere, che sia fatta con obiettivi chiari ed in modo trasparente, prevedendo soprattutto la partecipazione di coloro che nell’Ente lavorano e che conoscono perfettamente tutti i problemi, ovvero la comunità scientifica del CNR, riconoscendo nello stesso tempo al Consiglio Scientifico dell’Ente, quel ruolo di Comitato Strategico che lo Statuto ci consegna e la cui esistenza rende l’idea di affidarsi a board esterni assolutamente non condivisibile.

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