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Prepariamoci alla crisi post-crisi: non vogliamo tornare alla “normalità”

Dall’Università degli Studi di Firenze l’ordine del giorno del Comitato degli iscritti della FLC CGIL.

15/04/2020
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L’irruzione del COVID19 nelle nostre vite ha portato uno sconquasso inimmaginabile fino a due mesi fa. Nessuno di noi si sarebbe immaginato, benché gli scienziati prevedessero da anni il rischio di una grave pandemia influenzale, che ci saremmo trovati di fronte a una pandemia simile a quelle che leggiamo nei libri di storia o nelle cronache relative a paesi che pensavamo fossero "molto lontani", "molto poveri", con poche o nulle pratiche igieniche.

Invece la crisi è arrivata e ci siamo nel mezzo.

Ne usciremo, già si vedono i primi segnali, ma ora il punto è: come?

La crisi ha fatto venire al pettine molti nodi che avevamo ignorato fino ad oggi. Alcuni di ordine mondiale, come lo sfruttamento delle risorse naturali dei paesi che di quelle risorse sono ricchi, cui consegue lo sfruttamento delle popolazioni che vi abitano, con le guerre per spartirsi le risorse depredate e le migrazioni di massa che ne conseguono. 
O ancora le condizioni ambientali delle città. In questi giorni di blocco della mobilità tutti hanno scoperto come avevamo vissuto fino ad ora: inquinamento acustico (ora si sentono cantare gli uccellini), inquinamento atmosferico (ci si interroga sul ruolo delle polveri sottili nella virulenza del coronavirus in Lombardia), cieli più puliti (in alcuni paesi erano costantemente grigi per lo smog).
Altri nodi invece riguardano le realtà locali, in Italia ma anche altri paesi: primo fra tutti la regionalizzazione, la privatizzazione e lo smantellamento del sistema sanitario pubblico a favore di logiche neoliberiste di mercato che hanno portato al taglio dei posti letto (tanto che in questa emergenza siamo dovuti ricorrere talvolta a tende da campo), la chiusura degli ospedali sul territorio a favore di grandi strutture anche iperspecializzate, la distruzione della medicina sul territorio, l’assoluta mancanza di prevenzione (ma questa non è una novità degli ultimi anni). Conformi a queste scelte, per quanto riguarda l’Italia, il numero chiuso per i corsi di laurea in medicina e nelle professioni sanitarie, tanto che sono stati richiamati al lavoro medici in pensione, il proliferare di polizze sanitarie spesso legate alle strutture private che sono le uniche realtà a guadagnare da tutto questo deserto.

Un dato: In Italia nel 1980 i posti letto per casi acuti erano 922 ogni 100.000 abitanti, oggi sono 275.

Infine veniamo ai nodi tipicamente italiani:

  • Progressiva accentuazione della disuguaglianza di ricchezza. L’Italia è uno dei paesi industrializzati dove, in termini assoluti, questa disuguaglianza è maggiormente accentuata, soprattutto dopo la gravissima crisi finanziaria del 2008. La crisi del 2008 è stata pagata dai soliti noti, dai precari, co.co.co. e false partite IVA, dai lavoratori in appalto, dai lavoratori dipendenti, dal pubblico impiego, dalla contrazione delle risorse ai servizi pubblici con politiche neoliberiste di austerità che hanno portato forti tagli al sistema sanitario, alla Scuola, all’Università e alla Ricerca.
    Secondo gli ultimi rapporti di Oxfam riportati da Il Sole 24 Ore, in Italia i 3 miliardari più ricchi possiedono più del 10% della ricchezza nazionale degli italiani più poveri. L’1% dei ricchi possiede il 22% della ricchezza nazionale mentre il 5% è titolare del 41% (superiore a tutta la ricchezza detenuta dall’80% più povero) e il 20% più ricco detiene quasi il 70%. 
    Devono essere i grandi patrimoni a pagare la nuova crisi con una pesante tassa patrimoniale che inalmente ridistribuisca il reddito in Italia dall’1% dei più ricchi ai lavoratori e pensionati. Ma, come sottolinea il Segretario della CGIL Maurizio Landini, pensare alla "patrimoniale" come una mera misura per una salvaguardia dei conti pubblici è riduttivo. Si tratta invece di inserirla in un più vasto piano di investimenti pubblici che risollevi l’economia del Paese con un nuovo modello di sviluppo equo e sostenibile.
  • Distruzione delle garanzie per i lavoratori. Il mondo del lavoro è stato sistematicamente massacrato in questi ultimi venti anni; molte, se non tutte, delle conquiste degli anni 60-70 sono state abolite e questo ha colpito soprattutto le giovani generazioni che vivono in costante precarietà, quando non con lavoro al nero. In un momento di crisi, con le attività produttive e commerciali chiuse, molti di loro si sono trovati senza stipendio. Chi ha un contratto regolare può contare sulla cassa integrazione, ma tutti gli altri si trovano se va bene con i contratti sospesi, se al nero senza più un reddito da un giorno all’altro; per non parlare dell’incertezza di cosa accadrà dopo, quando molte aziende non riapriranno. Se avessimo mantenuto un mercato del lavoro garantista non avremmo avuto bisogno di ricorrere ai buoni spesa, con tutte le dinamiche che abbiamo visto tutti in tv, per non parlare dell’umiliazione di andare a prendere il cibo con i "buoni poveri".
    Scandalosa evasione fiscale. L’evasione fiscale in Italia ammonta a circa 80 miliardi di euro di mancate entrate fiscali all’anno.
  • Aumento costante delle spese militari (secondo una stima della Corte dei Conti del 2019, l’Italia spenderà più di 4 miliardi per l’acquisto dei nuovi cacciabombardieri F-35).
  • Mancanza assoluta di una politica industriale. Il fenomeno della mancanza di mascherine che abbiamo dovuto acquistare all’estero in tutta urgenza, senza peraltro riuscire a coprire le esigenze neanche per i settori più esposti come le strutture sanitarie o le RSA, è emblematico di un sistema che ha lasciato all’iniziativa privata tutta la politica industriale del paese, senza un coordinamento e obiettivi comuni, con imprese che hanno delocalizzato rincorrendo mercati più convenienti dal punto di vista del costo del lavoro e lasciando il deserto in tante realtà.
  • Sottovalutazione della ricerca. I fondi per la ricerca sono diminuiti progressivamente, le Università devono ricorrere alla ricerca finanziata dai privati, spesso con conseguente perdita di ogni diritto brevettuale e senza nessuna garanzia di continuità; questa incertezza ha portato con sé, complice lo smantellamento dei diritti sul lavoro sopra richiamato, una diffusa precarietà che nella maggior parte dei casi si risolve con l’emigrazione verso paesi più attenti a questo settore e con maggiori garanzie. La fuga dei cervelli la chiamavamo, di quei cervelli che oggi mettiamo sul piedistallo perché riescano a trovare la soluzione a questo virus che ci ha cambiato la vita.
  • Sottofinanziamento cronico di Scuola e Università
  • Insostenibile ritardo nella diffusione dei sistemi informatici. Siamo costretti a rimanere a casa, le scuole sono chiuse, si può tamponare con la didattica online ma ci accorgiamo che l’accessibilità alla rete non è garantita in tutti i luoghi abitati, che non tutti hanno un pc a casa o non hanno la rete perché costa, che non tutti hanno le conoscenze per poter accedere. Idem per il lavoro agile, una modalità di lavoro che avremmo dovuto adottare da un pezzo, visto che si ripercuote positivamente anche sulla mobilità, quindi sugli incidenti in itinere, sulle emissioni nell’aria, sullo stress dei singoli lavoratori. E invece per i più diventa una farsa.
    Una ventina di anni fa Berlusconi sbandierava le tre I, una di queste era informatizzazione... Siamo ancora allo stesso punto.
  • Mortificazione del Pubblico impiego. I contratti pubblici sono di nuovo rimasti bloccati, quello dell’Università era già stato bloccato per 10 anni dal 2009 al 2018.
  • Incapacità di gestire il flusso migratorio. Dall’emanazione della legge Bossi Fini abbiamo creato una moltitudine di clandestini che sono diventati i nuovi schiavi, la schiavitù dell’epoca moderna. Una massa di persone costrette a subire condizioni di sfruttamento disumane che ci hanno permesso di avere sulla tavola ogni giorno la frutta di stagione, il latte fresco, abbigliamento in grande quantità, tutto a prezzi stracciati. Ma i prezzi stracciati sono frutto della prevaricazione su altri esseri umani che per noi semplicemente non esistono, gli invisibili che ci permettono di vivere il nostro ruolo di meri consumatori, ultima tappa di una filiera di sfruttamento.
  • Assoluta mancanza di una seria lotta alle mafie. Oggi tutti ci indigniamo per le dichiarazioni dei giornali tedeschi che prevedono una distribuzione dei fondi europei destinati all’Italia alla mafia. Non è piacevole per gli italiani onesti sentirsi dire queste cose e soprattutto nessuno è immune da questo fenomeno in Europa, come ci insegnano numerose inchieste svolte negli ultimi anni. Ma se vogliamo essere onesti intellettualmente non possiamo negare che questo cancro si annida all’interno del sistema stesso italiano e che molte delle attività, soprattutto commerciali, sono in mano alle mafie che le utilizzano per riciclare il denaro sporco. La corruzione, che non è purtroppo legata solo alle mafie, rappresenta la metà complessiva di quella di tutta l’Unione europea.
  • Trasversale a tutti questi punti, il dominio assoluto che la finanza ha assunto progressivamente soprattutto a partire dalla crisi del 2008. Quando una speculazione finanziaria incide direttamente sulla vita delle singole persone in tutto il mondo è evidente che siamo di fronte ad un sistema disumano.

Questi sono solo alcuni dei nodi irrisolti che oggi ci troviamo ad affrontare e che è complicatissimo risolvere in una fase di emergenza.
Ma dall’emergenza usciremo, abbiamo detto. E allora di questi temi dobbiamo discutere perché i modi per uscire dall’emergenza sono solo due: tornare al prima COVID, con le stesse modalità, oppure cogliere l’occasione per cambiare modello di società e di sviluppo rimettendo in discussione tutto.
Quindi tutti i temi sopra elencati dovranno essere affrontati se vogliamo uscire dall’attuale crisi diversamente da come siamo usciti dalla crisi del 2008.

Con una forte ridistribuzione della ricchezza in Italia, troveremo anche le risorse per:

  • Affrontare il problema principale della nostra epoca: i cambiamenti climatici e la difesa dell’ambiente. Un cambio di modello di sviluppo è l’unica strada per difendere l’ambiente e la giustizia sociale. 
  • Garantire il diritto alla salute a tutti come previsto dalla nostra Costituzione; non inseguire il modello statunitense ma riadeguare le strutture pubbliche alle esigenze reali del paese, ripensando anche al modello di regionalizzazione che ha mostrato tutti i suoi limiti.
  • Combattere seriamente l’evasione fiscale, si può fare incrociando i dati e incrementando i controlli. È solo volontà politica.
  • Ripristinare le garanzie per i lavoratori ripristinando l’Art. 18 e riducendo le tipologie di contratto di lavoro innanzitutto e garantendo, attraverso la contrattazione, salari adeguati al costo della vita.
  • Gestire i flussi migratori regolarizzando tutti gli immigrati che lavorano, sottrarli alle grinfie dei caporali e della malavita organizzata.
  • Intraprendere una seria lotta alle mafie, non lasciare che i morti che vengono ricordati con fiumi di retorica ad ogni ricorrenza diventino soltanto dei santini da portare in processione all’occorrenza.
  • Azzerare il potere della finanza e attivare un piano industriale pubblico. Un paese non può dipendere dagli umori e dagli interessi di singoli imprenditori che, come è nella loro essenza, hanno a cuore principalmente, quando non solamente, il profitto personale. Mettere al centro il benessere delle persone.
  • Sostenere la ricerca in tutti i campi, tutti parlano di innovazione, tutti incensano le start up, ma quando si tratta di trovare fondi l’innovazione la fanno in Cina e le start up le comprano gli imprenditori stranieri.
  • Contiguo al sostegno alla ricerca c’è il sostegno al sistema formativo, dalla Scuola alle Università. È ora di rimetterci mano innanzitutto eliminando la precarietà che non garantisce continuità didattica nella scuola e ricambio generazionale nelle Università; ma anche investendo per la manutenzione delle strutture, per l’ammodernamento della strumentazione, per la motivazione del personale.
  • Puntare sul ruolo strategico dell’amministrazione pubblica rivedendo i ruoli e i compiti dei dipendenti, le modalità di organizzazione, l’innovazione tecnologica. Rivalutare il ruolo del personale con adeguate retribuzioni anche a fronte di maggiore responsabilizzazione e professionalità. Bisogna rinnovare i contratti scaduti nel pubblico impiego con aumenti salariali che recuperano la perdita di fronte agli aumenti del costo della vita negli ultimi 10 anni.
  • Intervenire per eliminare la povertà. Gli interventi sulle regole del lavoro sono già un primo passo, dove non è possibile però devono essere attivati sistemi di sostegno pubblici, non affidati al buon cuore dei singoli e alla beneficenza.

I soldi ci sono, c’è chi ne ha anche troppi, la ricchezza deve essere redistribuita a partire da una forte tassa patrimoniale che applica la fiscalità proporzionale prevista dalla nostra Costituzione
Siamo tutti consapevoli che quando usciremo da questa crisi dovremo affrontare un’altra terribile crisi, una crisi economica pesantissima che si annuncia più dura di quella del 1929. Se non si interviene affrontando i problemi che questo paese si porta dietro da anni a pagarla saranno sempre i soliti. I poveri che saranno sempre più poveri, i lavoratori dipendenti ai quali verrà chiesto di lavorare di più per recuperare il tempo perduto magari rinunciando a una parte di stipendio perché c’è la crisi.
Come mondo del lavoro bisogna dire da subito Basta! Non siamo più disposti a fare sacrifici per salvare un sistema economico profondamente iniquo e ingiusto che penalizza i lavoratori dipendenti, i precari, le donne, i giovani. Non accetteremo un’altra macelleria sociale come quella che ha seguito la crisi del capitale finanziario nel 2008. Non siamo tutti sulla stessa barca. C’è chi ha già dato e chi ha approfittato dalla precedente crisi. Noi abbiamo già dato!

Dopo la crisi coronavirus non vogliamo tornare alla normalità:
la normalità è il problema!

Il Comitato degli iscritti della FLC CGIL dell’Università di Firenze.