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Voti. "Generano paura e vergogna non servono all´educazione"

Le idee di Daniel Pennac, tra i promotori dell´iniziativa

19/11/2010
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la Repubblica

Il bambino Daniel Pennac, quanti brutti voti.
«Io sono stato un alunno con enormi problemi. E molte inibizioni me le porto dietro ancora oggi. Ma ho incontrato dei professori che mi hanno salvato. Sono stati quelli che mi volevano conoscere e volevano che mi appassionassi alla loro materia. Non quelli che volevano valutarmi, mettermi un voto».
Lo ha raccontato in Diario di scuola, un libro che è stato messo in scena anche in Italia dal Teatro dell´Archivolto.
«È un testo sulla paura. La paura che prende l´alunno che entra in una scuola. La paura di non saper rispondere bene alle domande che gli farà un adulto. Questa paura si ripete, e genera la vergogna nell´allievo: il ragazzo si fa prendere dalla rabbia. Un furore insopportabile che meccanicamente tira fuori: contro il professore, contro sé stesso, contro i genitori».
Come un effetto domino.
«I genitori fanno loro questa paura. E la proiettano, aggravando quella presente. Oggi è così, ma domani sarà peggio: questo si dicono. Nonostante il futuro sia in realtà imprevedibile. Il padre se la prende con la compagna: è colpa tua perché non lo educhi come si deve, mentre io devo pensare al nostro avvenire. La madre si sente due volte colpevole».
E l´insegnante?
«L´insegnante deve riuscire a comunicare con l´allievo in quel preciso momento. E basta. Deve stare con lui. Ma non può farlo, se attraverso la valutazione genera un meccanismo di paura, di sospetto. Così finisce per perdere il ragazzo e per perdersi lui stesso: non è più là, in quel momento, perché sta già pensando di non esserci più. È la paura preventiva».
Che condiziona tutta la società.
«Abbiamo un mito moderno. L´immagine. Io allievo, io insegnante, io scrittore e giornalista che intervisto lo scrittore. Tutti temiamo la valutazione, perché vogliamo salvaguardare la nostra immagine. Allora vale la pena di partire dalla scuola: che deve formare, non formattare. Che deve formare persone intelligenti, e non clienti. La scuola pubblica e non quella privata, che è una vittoria sfacciata della società consumistica. Basta con la scuola che forma clienti, e certe università-chic che formano venditori».
Comincia tutto con le interrogazioni.
«L´interrogazione genera il sospetto. Le domande sono legate alla capacità dell´altro di comprendere. Le faccio per valutare chi mi sta di fronte, non per conoscerlo. Il sospetto è non credere più alla presunta immagine che ho di me stesso. Invece io devo prendere la domanda per quello che è. Devo avere la forza di rispondere: "Non ne so nulla", perché so che il mio interlocutore non mi valuterà. Perché non mi darà un voto».
Meno voti, più buoni insegnanti.
«Ma è pieno di buoni professori. Sono quelli che hanno interesse per la materia che insegnano, e che hanno il desiderio di trasmettere la loro passione. Risvegliando la coscienza dei bisogni fondamentali, avvicinandoli alla solitudine e alla riflessione gratuita, sviluppando una capacità critica verso una società che vuole sempre più clienti e meno persone intelligenti. In Francia ci sono 12 milioni di studenti e un milione di insegnanti. A quel milione si chiede di essere eccezionale, ma non è possibile. Però, ogni studente può trovare un professore eccezionale. Perché è pieno, di buoni insegnanti. In Francia, in Italia. Di giovani straordinari, che fanno il loro lavoro. Normalmente».


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