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Voci dimenticate

Scarsa inclusione per donne e bambini la vera sfida per l’italia è l’istruzione. Il rapporto Presentato il WeWorld Index 2019, che mette a fuoco il nesso tra diritti dei piccoli e parità di genere. Il nostro Paese peggiora in ambiente, povertà educativa, inclusione economica di donne e giovani e maltrattamenti in famiglia.

10/04/2019
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Corriere della sera

Marta Ghezzi

Quasi un fanalino di coda. Non in linea con gli stati oltralpe, superata da Bulgaria, Portogallo e Repubblica Ceca. È la fotografia dell’Italia, impietosa, che emerge dal WeWorld Index 2019, la ricerca annuale di WeWorld-Gvc che misura il tasso di inclusione di un Paese monitorando le condizioni di vita delle fasce della popolazione più a rischio: bambini, adolescenti, donne.

La quinta edizione dell’Index, condotto da WeWorld-Gvc Onlus, organismo indipendente (presto presente in 29 Paesi, compreso il nostro, con progetti di aiuto allo sviluppo) ha misurato 171 Paesi. Non è una rilevazione puramente economica. Come sottolinea il presidente dell’associazione Marco Chiesara, lo studio «si basa su un concetto innovativo di inclusione che considera anche la sfera sociale, e analizza 17 parametri che riguardano abitazione, ambiente, salute, lavoro, incrociandoli con indicatori delle banche dati internazionali di Oms, Unicef, Banca Mondiale». Per ogni voce, un punto. Alla fine, i punteggi riportati da ogni Paese permettono di stilare una classifica. In pole è il nord Europa, che conquista podio e prime posizioni: prima assoluta la Norvegia (105 punti), seguita da Islanda (104), Svezia (103), e poi Danimarca, Svizzera e Finlandia, ed extra Cee, Canada, Nuova Zelanda, Australia.

Buoni i livelli di inclusione di Francia (84), Germania (83) e Gran Bretagna (80), media europea di 67 punti (quelli del Portogallo). L’Italia arriva solo a quota 57. Non consola vedere che appena sopra di noi, con solo un punto di differenza, ci siano Giappone e Stati Uniti. Dalla prima edizione dell’Index, nel 2015, la penisola continua a scivolare indietro: partiti in diciottesima posizione (con 66 punti), oggi siamo al 27° posto. Abbiamo perso nove posizioni. Peggio di noi, nel Vecchio Continente, solo i Paesi Baltici e Cipro, Slovacchia, Ungheria, Croazia e Romania. Perché?

Chiesara ha le risposte. «L’Italia regge, continuando a beneficiare di una sorta di rendita creata in passato, per parametri come capitale umano ed economico, che tradotti nel linguaggio della quotidianità significano salute, accesso alla scuola e ricchezza di prodotto. Peggiora, invece, su voci come ambiente, inclusione economica delle donne e loro accesso alle cariche politiche, inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e, capitolo dolorosissimo, sotto gli occhi di tutti, violenza di genere e sui minori». Disastri ambientali e inquinamento, disoccupazione giovanile, esclusione delle donne dalla vita politica, femminicidi e maltrattamenti in famiglia: ecco cosa frena l’Italia. Non solo. «Il rapporto del 2018 ha dimostrato come la povertà educativa grave diventi barriera per un’educazione di qualità. La tendenza negativa è confermata».

I punti

L’Italia peggiora nelle voci legate alle donne

e al lavoro dei più giovani

Marco Chiesara

Significa mancati investimenti per l’educazione delle generazioni future. Il nostro livello di spesa per studente è inferiore alla media dei Paesi più industrializzati e solo il 24% dei piccoli 0-3 anni frequenta il nido, contro il 35% di media Ocse. WeWorld Index, presentato il 9 aprile a Roma alla Farnesina, con interventi di Chiesara, del viceministro Affari esteri e cooperazione internazionale Emanuela Del Re e di Vito Borrelli, vicecapo della Rappresentanza della Commissione europea in Italia, scatta un’immagine globale.

Il rapporto definisce, in base al punteggio, cinque categorie: buona inclusione, dai 70 punti a salire; sufficiente, fra 21 e 69; insufficiente (20/-29); grave esclusione (-30/-79) e gravissima (pari o inferiore a -80). Sale, nel 2019, il numero dei Paesi con punteggio insufficiente (sono 103), ma si registra un progresso dell’India (dai -45 punti nel 2015 ai -29 odierni). In ultima posizione si conferma, per la quinta volta, la Repubblica Centroafricana (-159), mentre nelle categorie grave e gravissima si trovano soprattutto Paesi africani, oltre a Yemen, Afghanistan, Siria, Pakistan, Papa Nuova Guinea, Bangladesh, Irak e Timor Est. L’Index evidenzia che le nazioni in fondo alla classifica sono quasi tutte martoriate da conflitti.

E oltre la metà dei bambini che non va a scuola vive in contesti di emergenza. «Lo studio individua nell’educazione una risorsa strategica per prevenire e contrastare i conflitti. Il sostegno all’istruzione diventa fondamentale».


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