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Valutazione sì ma nel rispetto della scuola dell'autonomia

La diffidenza diffusa del mondo della scuola, e dell'università, e della ricerca, è strettamente collegata al fatto che è comparsa in un periodo di tagli pesanti al sistema, e assumendo, proprio per questo, un connotato assurdamente punitivo.

11/01/2013
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l'Unità

di Andrea Ranieri

Un tempo il tempo dell'ultimo governo Prodi quando si parlava di scuola, di ricerca, di università, era ormai quasi un luogo comune fra chi ragionava sul tema di fare riferimento a tre termini, fra loro strettamente collegati: programmazione-autonomia-valutazione. La programmazione, in cui la politica, dopo un intenso dibattito pubblico capace di coinvolgere l'insieme dei soggetti interessati, indicava le finalità del sistema e gli obiettivi auspicabili, e le risorse congrue per raggiungerli. L'autonomia, attraverso cui il mondo dell'istruzione e della ricerca si assumeva la responsabilità del conseguimento degli obiettivi e della gestione dei fattori necessari a perseguirli. E, infine, la valutazione, per monitorare il conseguimento degli stessi, superare le difficoltà che si frapponevano al raggiungerli, valutare l'impegno e l'intelligenza che le diverse organizzazione autonome e i singoli attori mettevano nel loro lavoro. I valutatori dovevano godere di un ampio margine di autonomia dal potere politico, perché la prima cosa da valutare erano-proprio le politiche e le risorse attivate dai governi. Sottraendo così la discussione ad un pura logica di schieramento, per cui la bontà o meno delle misure messe in atto dipendeva dal colore politico del ministro proponente. È un brutto segno dei tempi della politica ridotta a tecnica che la discussione verta ormai quasi esclusivamente sulla valutazione, come se la discussione sull'istruzione fosse una semplice questione di efficienza. La politica che si ricandida a governare il Paese dovrebbe innanzitutto recuperare il tema della valutazione nella sua connessione inscindibile con gli altri due. Per la scuola è questo che è oggi all'ordine del giorno programmare vuol dire ribadire con chiarezza che l'obiettivo e il fine principale è non lasciare indietro nessuno. Sono così poche i ragazzi che sprecarne qualcuno è il peggior delitto per il futuro del Paese. I ragazzi di genitori italiani, e quelli figli di migranti, troppo spesso espulsi dal sistema o relegati ai suoi margini. La quantità di risorse va commisurata a questo obiettivo, consapevoli che il costo economico e sociale della dispersione è altissimo, ben più alto di quello necessario a dare a tutti una possibilità formativa di qualità. La qualità necessaria per non disperdere è la stessa che serve a valorizzare i talenti. Il concetto chiave più che quello di merito-tanto meno di meritocrazia è quello di capacità, nei due sensi che il temine ha assunto. Fornire a tutti le capacità di base necessarie a rendere effettivi i propri diritti, valorizzare le attitudini e le diverse intelligenze di ciascuno, senza gerarchie precostituite fra i saperi. Per fare la scuola di tutti e di ciascuno c'è bisogno di autonomia. Il progetto educativo delle scuole va commisurato alla realtà sociale e culturale dei territori in cui sono inserite, alle diverse intelligenze e capacità delle persone giovani e adulte che stanno nella scuola. Per questo è necessario che la scuola autonoma non si pensi come una realtà autosufficiente, ma sappia fare rete e utilizzare le diverse opportunità educative, i diversi saperi , espliciti e impliciti, presenti nel territorio. Cerchi l'alleanza con le associazioni culturali, con le forze sociali e produttive presenti nel territorio. I Comuni sono lo snodo naturale delle organizzazione e della gestione della rete. L'autonomia richiede di ripensare e riprogettare il federalismo scolastico, avvicinando alle scuole i punti di governo del sistema. Le scempiaggini della Lega«solo professori del Nord», «il dialetto contro la lingua» etc. etc.ha portato la scuola a guardare con diffidenza ogni passaggio di poteri a livello decentrato. La crisi del separatismo leghista, è l'occasione imperdibile per ripensare e riprogettare in senso federalista il governo del sistema. E per ridurre drasticamente funzioni e personale del ministero. Ampliando anche per questa via le risorse economiche e professionali delle scuole, dopo anni in cui i soldi a disposizione dell'autonomia sono scesi così drasticamente da rendere impossibile qualsiasi autonoma progettazione educativa. La valutazione, in regime di autonomia, è impossibile se non si parte dal concreto lavoro delle scuole, dalle difficoltà che incontrano nel rapporto con la realtà territoriale, dai livelli di cultura delle realtà in cui sono inserite, dai livelli di istruzione delle famiglie e delle persone adulte. E dagli obiettivi che il governo intende raggiungere. Affidare la valutazione, premiare o punire, sulla base quasi esclusiva dei test dell'Invalsi, è tipico di una scuola centralista, e tende a sottovalutare l'articolazione e le diversità territoriali, i diversi «punti di partenza» con cui le scuole dell'autonomia devono confrontarsi. Inoltre, limitando la valutazione ai prodotti i risultati dei test-e non ai processi le modalità organizzative con cui le scuole lavorano non aiuta le scuole a superare le eventuali difficoltà, a riflettere su se stesse. Infine è dirimente sapere se il governo aumenterà o diminuirà le risorse a a disposizione delle scuole. La diffidenza diffusa del mondo della scuola, e dell'università, e della ricerca, è strettamente collegata al fatto che è comparsa in un periodo di tagli pesanti al sistema, e assumendo, proprio per questo, un connotato assurdamente punitivo.