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Valutazione dell’università: il CUN boccia i nuovi criteri della VQR

Il Parlamento universitario contro il bando Anvur che dovrebbe varare la nuova classifica delle università da cui dipende l’assegnazione di 1,5 miliardi di fondi

22/01/2020
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Corriere della sera

Orsola Riva

Il Parlamento universitario boccia il nuovo sistema di valutazione della qualità della ricerca (Vqr) in base al quale viene ripartita una parte sempre più consistente dei già pochi fondi pubblici destinati all’accademia italiana: 1,5 miliardi circa su poco più di sette. «Il Consiglio universitario nazionale - si legge nelle conclusioni dell’adunanza del 16 gennaio - esprime un parere negativo sul bando Anvur per l’esercizio Vqr 2015-19 e ne ritiene imprescindibile la revisione». Punto. Come mai un organo consultivo, che per lo più si limita ad esprimere pareri e proposte di indirizzo, ha preso una posizione così netta contro questo provvedimento? E cosa succederà ora? Si andrà avanti come se nulla fosse o si cercherà una soluzione condivisa, con il rischio però di rallentare ulteriormente la macchina elefantiaca della valutazione (nell’ultima tornata sono stati passati al setaccio quasi 120 mila lavori)? Già così i risultati della nuova procedura non erano previsti prima della fine del 2021, ma a questo punto non è da escludere che si scivoli anche più avanti, mentre nel frattempo le università continueranno a essere premiate (o punite) per dei prodotti scientifici ormai vecchi (quelli fra il 2011 e il 2014).

Dagli indici bibliometrici alla peer review

«Premesso che non esiste un sistema perfetto - spiega il presidente del Consiglio universitario Antonio Vicino -, quello messo a punto dall’Anvur contiene una serie di indicazioni farraginose che rischiano di complicare tutta la procedura senza però riuscire a offrire le necessarie garanzie metodologiche». Quali sono i cambiamenti rispetto all’ultima tornata lo spiega il nuovo direttore dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca Antonio Uricchio: «Il bando della nuova Vqr è stato fatto in applicazione del decreto ministeriale che mirava a bilanciare gli automatismi bibliometrici dando più peso ai giudizi di qualità dei valutatori». Detto altrimenti: finora nei settori che lo consentivano (tutte le scienze cosiddette dure più medicina) i lavori dei ricercatori venivano valutati in base al numero di citazioni e al peso delle riviste nazionali e internazionali su cui erano pubblicati. Un metodo che, almeno sulla carta, aveva il crisma dell’obiettività, ma che si presta a distorsioni (come per esempio l’abuso tutto italiano della pratica dell’autocitazione denunciato dalla piattaforma Roars). Nella nuova Vqr invece aumenta il peso e la responsabilità dei cosiddetti Gev, i «gruppi di esperti di valutazione», che d’ora in poi avranno un potere decisionale molto maggiore. Il modello è quello della valutazione fra pari di stampo anglosassone (peer review) anche se nel caso italiano resta «informata», cioè temperata dagli indici di cui sopra. Impossibile immaginare che 600 valutatori - tanti sono - possano pesare uno per uno circa 180 mila lavori di ricerca (tanti ne sono previsti in base alla nuova normativa) se non ricorrendo, quando si può, anche alla bibliometria. Ma certo i margini di discrezionalità, con questa Vqr, aumentano considerevolmente.

Chi valuta i valutatori?

«E’ per questo che noi ci eravamo raccomandati che il meccanismo di selezione dei valutatori fosse molto rigoroso. Se scegli di estrarli a sorte, non puoi accontentarti di chiedere come requisito la pubblicazione di tre lavori negli ultimi 5 anni. Rispetto a questa debolezza di fondo, l’Anvur ha voluto aggiungere una serie di vincoli che purtroppo però non servono a garantire “l’elevata qualificazione” dei valutatori ma solo a complicare la vita ai settori disciplinari con pochi addetti», dice Vicino. Per non parlare del rischio che i Gev - che a differenza dei revisori esterni non sono anonimi - subiscano pressioni. E’ vero che, come ricorda Uricchio, il bando contiene «norme etiche» volte a escludere eventuali conflitti di interesse anche potenziali: nessun lavoro può essere valutato da chi ha vincoli di parentela entro il quarto grado o relazioni di colleganza professionale di vario tipo con l’autore. Ma basteranno questi vincoli di incompatibilità a evitare qualsiasi tipo di condizionamento? «Niente si può escludere - riconosce Uricchio - ma io ritengo che una valutazione collegiale e trasparente come questa offra garanzie sufficienti. Io stesso sono stato un Gev in passato e sentivo fortissima la responsabilità del mio ruolo».

 

Le pagelle pre compilate

Nel suo parere negativo sulla nuova Vqr, il Cun contesta anche un’altra aggiunta fatta dall’Anvur rispetto alle linee guida originali: quella relativa alla distribuzione dei giudizi ( i voti ad essi collegati sono spariti) che compaiono nelle pagelle finali. In tutto sono cinque: eccellente ed estremamente rilevante, «solo» eccellente, standard, sufficiente, scarso. Secondo quanto stabilito dal bando in ogni area ci dovrà essere almeno un 5% di lavori scarsi e non più del 25% di lavori eccellenti. Un po’ come se a scuola uno decidesse a tavolino che, per evitare troppe disparità fra una sezione e l’altra, in ogni classe ci devono essere almeno un cinque per cento di 4 e di 5 e non più del 25 per cento di 9 e 10. «Queste percentuali potrebbero avere senso se si valutasse un campione a caso - spiega Vicino -, ma i lavori sottoposti alla Vqr sono il frutto di una selezione preventiva fra quelli che si suppone siani i migliori. Il problema è che se tutti sono eccellenti, diventa difficile metterli in fila. La mia impressione è che in questo modo si sia cercato di reintrodurre surrettiziamente una qualche forma di ranking, mentre il nuovo sistema prevederebbe solo un rating dei prodotti, non una graduatoria». Uricchio però sdrammatizza: «Nel bando è scritto espressamente che queste percentuali valgono solo “indicativamente”: il nostro è solo un indirizzo ma non è vincolante, altrimenti avremmo previsto delle sanzioni».

Uno, nessuno, centomila autori

C’è poi il capitolo delle pubblicazioni con più autori. Finora non c’era un limite al numero di istituzioni che potevano presentare lo stesso lavoro, anche se vi sono settori (come la fisica) nei quali alcuni esperimenti portano la firma di decine di persone diverse. D’ora in poi le università potranno attribuirsi una determinato prodotto solo se hanno fornito un contributo «significativo» a quella ricerca in modo da evitare incidenti come quello occorso nell’ultima Vqr in cui l’università Kore di Enna si è posizionata - proprio nell’area di fisica - al primo posto fra i piccoli atenei battendo anche la Normale di Pisa. Peccato, però che, come fa notare in Cun, l’Anvur abbia stabilito criteri diversi per le diverse aree con il rischio di «una illegittima disparità di trattamento ai danni delle aree 05 06 07», cioè biologia, medicina, agraria e veterinaria.

Open Access

Last but not least, la questione dell’Open Access. La nuova Vqr pone una serie di condizioni agli atenei e ai ricercatori affinché garantiscano che i prodotti siano consultabili liberamente. Richiesta di per sé corretta. Peccato che sia retroattiva mentre attualmente molti lavori pubblicati sulle riviste più prestigiose si possono leggere solo a pagamento o comunque dopo un periodo di embargo di un paio d’anni. Gli editori come Elsevier e Springer non solo si fanno pagare per pubblicare un paper ma poi impongono alle università di sottoscrivere costosi abbonamenti per poterli leggere. «Se poi si vuole renderli immediatamente accessibili a tutti, bisogna sborsare altro denaro, perché le case editrici naturalmente si fanno pagare per liberare un prodotto dal copyright o dall’embargo», spiega Vicino. «La questione dell’Open Access non può essere lasciata sulle spalle dei ricercatori ma va affrontata dal governo contrattando direttamente con gli editori. In Svezia lo hanno già fatto: prima hanno cancellato tutti gli abbonamenti; poi si sono seduti a un tavolo con Elsevier e hanno contrattato un prezzo ragionevole per renderli consultabili pubblicamente. Da noi invece si vuole fare l’Open Access senza soldi». Ma di soldi in più per l’università, al momento, non c’è traccia.


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