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“Uno spot”. “No, aiuta la ricerca” Il super-polo divide gli scienziati

Scontro sul Technopole di Milano dopo l’intervento di Elena Cattaneo Piero Angela: più fondi per i nostri cervelli. Gianotti: qui non c’è futuro

26/02/2016
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la Repubblica

Elena Dusi

Un inutile spot o un’opportunità per far fiorire la ricerca applicata in Italia? All’indomani dell’annuncio dello Human Technopole nell’area Expo a Milano (ma soprattutto del suo finanziamento con un miliardo e mezzo di euro in dieci anni) il mondo della ricerca è perplesso e diviso. L’Istituto italiano di tecnologia di Genova (Iit) chiamato a fare da timoniere del progetto, infatti, è un ente di diritto privato che sarà finanziato da soldi statali. “Mentre i ricercatori pubblici nemmeno sanno se quest’anno esisterà un bando per finanziare i loro progetti, un ente di diritto privato avrà garantiti 150 milioni all’anno per dieci anni”, aveva scritto ieri su questo giornale Elena Cattaneo, senatrice a vita e scienziata dell’università di Milano. Roberto Cingolani, fisico, che dell’Iit è direttore scientifico dal 2005, concorda sul fatto che «gli investimenti per la ricerca dovrebbero essere molto maggiori». Ma sostiene anche la bontà del suo modello: «Soprattutto in certi settori, oggi occorrono pianificazione, visione di lungo termine, capacità di realizzare grandi laboratori che diventano attrattori internazionali».

L’Iit, fondato nel 2003 soprattutto per volontà dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, ha nel suo statuto la missione di «promuovere l’eccellenza nella ricerca». Ma anche di «promuovere lo sviluppo economico in Italia». Fu creato per tentare di smarcare la scienza dalle pastoie dell’università, finanziato con dovizia e trattato come un figlio prediletto. Per questo ha sempre incontrato la diffidenza della scienza pubblica, costretta a sudarsi gli scarsi finanziamenti che offre il paese. «L’Iit è stato creato con il modello del Mit in testa», spiega Stefano Denicolai, che insegna Economia e management dell’innovazione all’università di Pavia. «Un luogo dove uno scienziato fa ricerca per qualche anno, poi va via per aprire un’azienda. Ci è riuscito, anche se solo in parte». Ora il modello viene riproposto con lo Human Technopole. «Non so se funzionerà, ma se l’obiettivo del governo è creare un incubatore di imprese, credo che il progetto abbia una sua coerenza. Oggi le imprese nate dall’Iit possono tornare nei laboratori di Genova per sfruttare gli strumenti che da sole non potrebbero permettersi, in cambio di una quota dei loro profitti». Marco Cantamessa insegna Ingegneria gestionale al Politecnico di Torino. «Sulla bontà dell’idea dello Human Technopole vorrei sospendere il giudizio. Ma in generale liberare la ricerca da lacci e lacciuoli è una buona idea, e farebbe bene anche all’università. Non bastano però soldi e metri quadrati per definire la bontà di un progetto. I grandi poli scientifici all’estero sono cresciuti gradualmente, generazione dopo generazione».
Se il futuro dell’area Expo è ancora tutto da scrivere, di certo rianimare la ricerca pubblica è ormai una priorità. Fabiola Gianotti, direttrice del Cern di Ginevra, è intervenuta ieri con un video alla conferenza “Salviamo la ricerca” organizzata alla Sapienza di Roma. Lei e i suoi colleghi lavorano in un campo — la fisica delle particelle — talmente di base da non poter certo rientrare in una visione imprenditoriale come quella del Technopole. Ma che non è meno necessaria per il progresso della scienza. «La formazione in Italia è ottima e i nostri giovani non sono secondi a nessuno quando escono dall’università. Il dramma è che non hanno speranze a lungo termine nel nostro Paese. La nostra grande scuola scientifica dà ancora i suoi frutti, ma quando, come avviene oggi, in Italia si perdono intere generazioni di ricercatori, è difficile ricucire una tradizione». Adalberto Giazotto, dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, è il padre dell’esperimento Virgo che ha partecipato alla scoperta delle onde gravitazionali. Al convegno della Sapienza ha ammesso di essere un caso atipico di ricercatore pubblico: «Noi, con il nostro esperimento, siamo stati graziati rispetto agli standard italiani, perché abbiamo ricevuto grande sostegno». Il giornalista Piero Angela ha spiegato che «la ricerca è sempre poco popolare presso i politici, che vogliono risultati subito. Ridurle i finanziamenti è sempre facile, non come tagliare pensioni o stipendi».

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