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Università, più soldi su base premiale. Ma spunta il nodo dei « fuori corso»

La nuova ripartizione dei fondi elimina le storture legate ai costi storici ma rischia di penalizzare gli atenei sfavoriti dal contesto socio-economico e di precarizzare i docenti

01/11/2014
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Corriere della sera

Orsola Riva

Come annunciato nelle scorse settimane, cambia radicalmente il sistema di assegnazione dei fondi alle università. Da quest’anno i soldi assegnati in base al merito peseranno di più: la quota premiale sale infatti dal 13,5 al 18 per cento. È questa la novità principale del decreto di ripartizione del Fondo per il Finanziamento Ordinario (FFO), firmato oggi dal ministro Stefania Giannini e inviato al vaglio della Corte dei conti, che introduce per la prima volta anche i cosiddetti «costi standard», un nuovo parametro legato a un complesso sistema di calcolo che dovrebbe servire ad archiviare definitivamente le storture legate alla distribuzione dei fondi su base storica.

Quota premiale

In linea con gli anni scorsi, il Fondo di finanziamento ordinario ammonta, per il 2014, a poco più di 7 miliardi di euro, ma la quota premiale quest’anno pesa sensibilmente di più (1,2 miliardi) e verrà calcolata tenendo in considerazione anche l’ esposizione internazionale con particolare attenzione alla partecipazione al programma Erasmus. Anche se il parametro principale resta quello legato alla valutazione della ricerca (che pesa per il 70%) ovvero alla «classifica» delle università licenziata non senza strascichi polemici a luglio 2013 dall’Anvur, l’ente di valutazione del sistema universitario.

«Costi standard»

Ma la vera novità riguarda il «costo standard» di formazione per studente in corso, pari a un miliardo per il 2014 (ovvero al 20 per cento della quota base, ma destinato a crescere nei prossimi anni, fino a coprire il 100 per cento nel 2018). Un sistema inedito che punta ad agganciare lo stanziamento delle risorse alla qualità dei servizi offerti agli studenti in modo da evitare, come invece è successo l’anno scorso, che la Bicocca di Milano (capolista nella classifica Anvur insieme al Bo di Padova) prenda meno soldi di quella di Messina che stava in fondo. Il costo standard viene calcolato attraverso una formula che mette in relazione i costi che gli atenei sostengono per i diversi corsi di studio (costi dei docenti, degli amministrativi e tecnici, di funzionamento) alla popolazione studentesca in corso, e solo in corso. Anche in questo caso non mancano le polemiche perché, come segnalato dalle associazioni studentesche, c’è il rischio che questo sistema di calcolo penalizzi quelle università che, per ragioni legate al territorio, hanno tantissimi fuori corso (vuoi perché si tratta di studenti lavoratori, vuoi perché le tasse universitarie al Sud sono più basse e non incentivano ad andare di corsa come al Nord che invece attrae i più volonterosi fra gli studenti meridionali...). Anche se il ministero dell’Istruzione fa sapere che per evitare sperequazioni è previsto un correttivo territoriale basato proprio sul contesto economico e sottolinea che la «clausola di salvaguardia» che stabilisce un tetto massimo di riduzione dei fondi è stata abbassata passando dal 5 al 3,5 per cento del 2013, «ma nessuno scenderà sotto il 2,7 per cento».

Ricercatori o precari?

Nonostante la somma finale resti sostanzialmente invariata ovvero si stabilizzi su valori minimi (7 miliardi contro i 25 della Germania e i 20 della Francia: negli ultimi cinque anni l’università italiana ha perso quasi un miliardo in tagli), il presidente della conferenza dei rettori Stefano Paleari si dice soddisfatto della «forte polarizzazione dei fondi su base premiale» e anche delle nuove modalità di reclutamento. «D’ora in poi avremo più tempo per programmare il turnover: mentre finora era su base annua adesso avremo tre anni per sostituire i docenti che vanno in pensione - dice il rettore dell’università di Bergamo .- Inoltre mentre finora i ricercatori a tempo determinato erano assimilati a un professore che va in pensione e seguivano la stessa ratio di avvicendamento (ogni due fuori ne entrava uno solo), adesso se escono due ricercatori ne possono rientrare altrettanti». Anche in questo caso, però, il bicchiere è solo mezzo pieno perché in base al nuovo sistema di calcolo dei «punti organico» (ovvero quante persone un’università può assumere in base ai pensionamenti) d’ora in poi per ogni nuovo professore ordinario l’università non sarà più tenuta ad assumere un ricercatore a tempo indeterminato, ma potrà chiamarne anche uno a scadenza (di durata triennale o biennale in caso di rinnovo). Il rischio è quello di una precarizzazione ulteriore degli atenei che - fa notare Paleari - negli ultimi 5 anni hanno già perso il 30 per cento degli ordinari e, con questo sistema, rischiano di tagliare completamente fuori gli associati.


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