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Università libere di comprare

La maggioranza corregge il governo e cancella il Mepa

19/11/2019
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ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

Mepa sì, Mepa no. Era il novembre 2018, quando il governo Conte 1, ministro dell'istruzione, università e ricerca Marco Bussetti, aveva preparato una norma che eliminava il ricorso al Mepa, il mercato elettronico per gli acquisti nella p.a., per università ed enti di ricerca. Norma attesa da tempo dal settore che lamenta le lentezze e le inefficienze delle procedure di acquisto centralizzato ma soprattutto l'assenza per strumentazioni specifiche e altamente settoriali dei fornitori giusti, soggetti esteri che spesso non hanno interesse a iscriversi all'elenco dei fornitori Mepa. La norma non entrò però nel disegno di legge finanziario che fu pubblicato in Gazzetta Ufficiale e neppure fu reintrodotta in parlamento sotto forma di emendamento. Da allora vari tentativi si sono succeduti, compreso il passaggio nel ddl Semplificazioni, sempre governo Conte 1, ddl da cui però la norma fu espunta per estraneità della materia.

Sembrava finalmente fatta con il decreto legge su scuola e università della scorsa estate, approvato salvo intese dal consiglio dei ministri. Intesa mai trovata -l'oggetto del contendere tra Lega e M5s erano le norme sulla stabilizzazione dei precari della scuola- nel frattempo che si consumava la crisi di governo.

Quella che è diventata la telenovela del Mepa ha avuto un'altra puntata con l'ultimo decreto legge scuola e università, all'esame della Camera, il primo del governo Conte II, ministro dell'istruzione, università e ricerca Lorenzo Fioramonti. Decreto che nasce sulle spoglie del precedente e che però va nella direzione opposta rispetto all'eliminazione del Mepa ripristinando il ricorso agli acquisti Consip.

Ora l'ultimo cambio di rotta: la maggioranza giallorossa in parlamento corregge il governo e con un emendamento allo stesso dl, firmato dai capigruppo delle Commissioni Cultura e Lavoro, cancella la norma del dl e anzi addirittura estende il divieto di ricorso a Mepa e Consip rispetto a quanto faceva la norma predisposta dal governo gialloverde. Niente ricorso ai mercati convenzionati sotto qualsiasi forma e anche per gli acquisti informatici.

«Si può stimare che per i progetti di ricerca università ed enti destinino un miliardo di euro, di questi una quota variabile a seconda del progetto se ne va per acquisti di attrezzature», ragiona Nicola Casagli, ordinario dell'università di Firenze e tra i più strenui sostenitori della necessità di abolire il Mepa, «come ho avuto modo di dire in audizione alla Camera, senza il mercato convenzionato potremo essere molto più competitivi ed efficienti. Ora perdiamo tempo e risorse a compilare moduli per acquistare prodotti spesso non adatti e pagandoli anche più di quanto spenderemmo sul mercato libero».

L'emendamento che scrive la parola fine per il Mepa è firmato da Lattanzio, Bella, Piccoli Nardelli, Viscomi, Toccafondi, D'Alessandro, Fratoianni, Epifani, Fusacchia. E prevede: «Non si applicano alle università statali, agli enti pubblici di ricerca e alle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, per l'acquisto di beni e servizi funzionalmente destinati all'attività di ricerca, trasferimento tecnologico e terza missione: a) le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 449, 450 e 452, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in tema di ricorso alle convenzioni-quadro Consip SpA; b) le disposizioni di cui all'articolo 1, commi da 512 a 516 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 in tema di ricorso agli strumenti di acquisto e negoziazione Consip SpA per gli approvvigionamenti di beni e servizi informatici e di connettività».

L'emendamento deve superare ora lo scoglio della commissione Bilancio. E poi dell'aula di Montecitorio, prima del via libera al Senato.