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Università, le mani della politica sulla ricerca

Francesco Sylos Labini

09/10/2016
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Il Fatto Quotidiano

Qui di seguito una breve guida per orientarsi nelle recenti vicende che riguardano l’università e la ricerca di questo Paese. Si tratta di fatti apparentemente slegati: cercherò di trovare il filo che li unisce.

Secondo Raffaele Cantone, responsabile dell’Anac, vi è “un grande collegamento, enorme, tra fuga di cervelli e corruzione” tanto che l’università è, più di ogni altro settore dell’amministrazione pubblica, quello in cui c’è il più alto il numero di nepotismo. E questo nonostante la legge Gelmini che era stata varata proprio per “tagliare le unghie ai baroni”.

In realtà l’agenzia nazionale della valutazione (Anvur) non ha fatto altro che consegnare la guida delle politiche dell’istruzione a una sorta di “comitato di salute pubblica” che in questi anni ha imposto una “rivoluzione dall’alto” della scuola e dell’università dettando l’agenda in fatto di valutazione a governi che hanno rinunciato ad averne una propria. Questo comitato, imponendo una modalità di valutazione sconosciuta sul pianeta Terra, ha di fatto imposto un controllo politico sulla ricerca e l’università. La riforma Gelmini invece di tagliare le unghie ai baroni ha perciò concentrato il potere accademico nelle mani di una piccola élite di nomina politica che ha fatto un pasticcio di dimensioni colossali con la valutazione.

Bisognerebbe allora riflettere sul fallimento dell’Anvur, ma il governo reputa più semplice trovare la scorciatoia. Il governo sta infatti per varare una “contromisura”: le Cattedre Natta per finanziare la chiamata diretta di 500 docenti scelti senza concorso. Il problema del reclutamento è nella formazione delle commissioni che sceglieranno i magnifici 500. Pare che nel decreto sia previsto che sia il Presidente del Consiglio a nominare i presidenti delle commissioni che a cascata nomineranno i commissari. Il comitato di salute pubblica di nomina politica avrà così un potere ancora più grande di controllo sulle carriere degli accademici e sulla ricerca da loro effettuata. Una situazione di sapore nord-coreana che non si è verificata neppure sotto il fascismo.

Così mentre una buona parte della classe accademica ha drizzato le orecchie ai richiami delle Cattedre Natta, lo smantellamento del sistema procede a gonfie vele e senza intoppo alcuno. E’ di questi giorni un rapporto dell’Associazione Dottorandi Italiani (Adi) che denuncia il crollo dei posti di dottorato in Italia: se nel 2006 erano 15.733, dieci anni dopo nel 2016 sono diventati 8.737 (-44,5%).

Eravamo già il fanalino di coda in Europa e abbiamo consolidato il nostro piazzamento nel ranking. Inoltre l’Adi conferma la stima di un elevato tasso di espulsione per il post doc: nei prossimi anni solo il 6,5% di chi attualmente è assegnista di ricerca riuscirà a accedere a un ruolo strutturato. Di fronte a questi numeri cosa fa il governo?

Il governo pensa a Expo e al progetto Human Technopole che ha generato una valanga di critiche per come è stato gestito (un “bando” con un solo concorrente, l’Istituto Italiano di Tecnologia) anche da parte senatrice Elena Cattaneo. Ma il perché di tutta questa fretta ce lo spiega un articolo di Marco Ponti su Lavoce.info e con la ricerca ha davvero poco a che fare:

“Ma torniamo al dopo-Expo e alla vicenda dei terreni. Il piano economico iniziale prevedeva che fossero in parte dedicati a un grande parco, in parte edificati a uso privato. Infatti era prevista la rivendita di tali terreni resi edificabili realizzando una rilevante plusvalenza: si parla di un prezzo di alienazione di 300 milioni sui 160 di costo. Costo di acquisto che era risultato rilevantissimo, a favore dei proprietari privati, in relazione al precedente uso agricolo dei terreni stessi (la vicenda fu molto chiacchierata, a suo tempo). Ma se tali soldi fossero stati recuperati con profitto, almeno i contribuenti non sarebbero stati danneggiati, anzi. Tuttavia l’asta andò deserta né, si badi, sembra vi siano state contrattazioni successive al ribasso, al fine di recuperare almeno parte di quei soldi. […] È intervenuto salvificamente il governo, promettendo di realizzarvi, con ingenti investimenti sia iniziali che per l’esercizio, un centro di ricerca dedicato alle scienze per la salute, nominato Human Technopole. […] L’operazione in corso di riutilizzazione dell’area Expo suona molto come una accelerazione non del tutto meditata per evitare di rendere clamorosa la mancata, e promessa, vendita dei terreni per recuperare fondi pubblici. Peccato che questa operazione sia fatta spendendone altri”.

E chi paga le spese? I giovani ricercatori di cui sopra ovviamente che, a parte sparute eccezioni, sono concentrati ad aumentare i proprio indici bibliometrici senza avere una percezione di chi e perché gli sta rubando il futuro e senza avere interesse ad andare oltre la propaganda governativa dei baroni e dei loro figli. In compenso, per non farsi mancare nulla e per aggiungere il danno alla beffa, il governo ha aperto la loro svendita: come spiega Invest in Italy, un opuscolo del Ministero dello Sviluppo Economico scritto per attrarre gli investimenti stranieri, “un ingegnere in Italia guadagna in media 38.500 euro, quando in altri Paesi europei lo stesso profilo ne guadagna mediamente 48.800” dato che “i costi del lavoro in Italia sono ben al di sotto dei competitor come Francia e Germania. Inoltre, la crescita del costo del lavoro è la più bassa rispetto a quelle registrate nell’Eurozona”. Insomma gli stessi argomenti usati da Invest in Albania tanto per mettere in chiaro a chi si punta a fare concorrenza.

Ma ovviamente lo sviluppo del paese si riprenderà con la vittoria del “Sì” al Referendum Costituzionale così imparano i parrucconi e i gufi universitari: e come no.


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