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Università, cambiare i criteri di valutazione dei professori

Gli studenti di Tor Vergata hanno lanciato un «appello per la qualità dello studio». Chiedono al governo che il punteggio dei docenti sia basato sulla didattica, e non solo sui titoli

19/04/2012
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l'Unità

Un gruppo di studenti di Filosofia dell’università di Tor Vergata ha lanciato nei giorni scorsi un «appello per la qualità dello studio» (mondodomani.org/filosofiatorvergata). Sono entrati in questo modo nel dibattito sui criteri di «valutazione» dell’attività dei loro professori con due richieste che davvero meriterebbero di essere ascoltate e che sono peraltro fra loro collegate. Gli studenti sottolineano l’esigenza di arrivare a un chiarimento definitivo sugli obblighi didattici dei docenti e sulle conseguenze del loro mancato rispetto. Hanno trovato - nei questionari che devono compilare per accedere alla procedura di prenotazione per gli esami - una domanda con la quale si chiede loro di dire se il professore ha tenuto «personalmente » le sue lezioni, fissando contemporaneamente al 75% l’asticella dell’eccellenza e prevedendo addirittura che la risposta possa essere «quasi mai o saltuariamente» (fino al 25%). Giustamente considerano «semplicemente scandaloso» il solo pensiero che questa ipotesi corrisponda al comportamento effettivo di alcuni docenti e contestano l’autorizzazione implicita a saltare una lezione su quattro, magari facendosi sostituire da qualche collaboratore. È francamente auspicabile - di fronte al clima di sospetto e denigrazione che si continua così ad alimentare - che sia una volta per tutte lo stesso ministro a garantire, come chiedono gli studenti, che vengano introdotti meccanismi di controllo certi e trasparenti, indicando preventivamente e senza stratagemmi o equivoci quante sono le ore di lezione che un professore è tenuto a fare e quali sono le sanzioni per gli assenteisti. L’università è notoriamente un luogo di lavoro nel quale le rendite di posizione, il precariato e lo sfruttamento delle asimmetrie di potere generano effetti perversi. La politica e il governo dei tecnici (molti dei quali sono professori…) vogliono o no mettere fine a questa triste situazione? L’appello degli studenti di Tor Vergata non parla semplicemente di disciplina e di presenze. Pone, proprio in questo modo, un problema serio e profondo di prospettiva. Ci interroga su quale sia l’università che vogliamo e chiede di introdurre subito correttivi ai criteri di valutazione che, con molta confusione e ingente investimento di risorse, si stanno introducendo in questi mesi. Il valore dell’attività didattica è di fatto azzerato, nascondendosi dietro il pretesto della difficile misurabilità della sua qualità e traducendo poi questa premessa nella legittimazione della più ampia discrezionalità anche rispetto alla sua quantità. Sta passando il messaggio che ogni ora trascorsa con gli studenti per insegnare, discutere i loro lavori, aiutarli a capire e fare di più è un’ora persa, che non incrementerà in nessun modo i «punteggi» dai quali dipendono avanzamenti di carriera e assegnazione di risorse. Mentre nessun punteggio dovrebbe valere per chi si ostina a considerare la cattedra un privilegio anziché una passione e un dovere. È inutile che si dica che nessuno lo pensa e lo vuole. Questo è quello che accade e accadrà, se saranno solo le pubblicazioni a decidere chi vince e chi perde, chi vive e chi muore nella comunità del sapere divenuta mercato. Ringrazio questi giovani, che ci ricordano che «così come non può esistere didattica senza ricerca, nessun professore può essere considerato tale se insegna poco o male». Signor ministro e magnifici rettori, ce la facciamo a non deluderli?

Stefano Semplici


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