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Unità on line-Gli Stati Generali sono un tonfo e la Moratti comincia a cedere

Gli Stati Generali sono un tonfo e la Moratti comincia a cedere di Mariagrazia Gerina Gli stati generali? "Sono solo un passaggio", dice il ministro, che per mesi ha proclamato la kermesse che ...

19/12/2001
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l'Unità

Gli Stati Generali sono un tonfo e la Moratti comincia a cedere
di Mariagrazia Gerina

Gli stati generali? "Sono solo un passaggio", dice il ministro, che per mesi ha proclamato la kermesse che si è aperta ieri come l'evento dell'anno, un appuntamento per la scuola e per il paese. Ma la parola d'ordine a palazzo dei Congressi, sembra incredibile, è: "abbassare il tono". Letizia è maestra, indossa dolcevita nera sotto una giacca molto sobria. Rassicurare, smorzare, se necessario anche smantellare il progetto di riforma fresco di stampa. Bisogna abbassare il tiro per recuperare consenso. La scenografia è in sintonia con il ministro. Bianca e azzurra, sposa il minimalismo degli studi televisivi. Ricorda un po' 'Domenica In' o 'La vita in diretta'. E un po' anche 'Porta a porta'. C'è una cattedra al centro, dove siedono da una parte il ministro dall'altra il professore. Attorno un parlamentino, una selezione scelta della platea chiamata a partecipare all'evento. Proprio come in uno studio televisivo: ti dà l'impressione che la gente sia passata dall'altra parte dello schermo, ma la realtà è un'altra cosa.
A palazzo dei Congressi Letizia Moratti tenta il miracolo: presentarsi vergine alla platea da lei scelta per rilanciare un consenso che non c'è. Fare piazza pulita delle polemiche, come se già forte la contestazione, come se fuori dal palazzo studenti, insegnanti e pezzi sparsi di società civile non si fossero già dati appuntamento. Come se le regioni, i comuni, i sindacati non avessero disertato l'appuntamento.
E invece il dissenso c'è. E semplicemente Letizia ha deciso di battere in ritirata. Costretta a spendere buona parte del discorso per recuperare alla sua causa il presidente Ghigo e le regioni. "La riforma Bertagna è solo una bozza". Per Ghigo è una vittoria perché quella riforma non teneva conto delle regioni. E la fa pesare. La Moratti ha appena finito di elencare i cinque pilastri della scuola e lui detta i suoi: federalismo e devolution. E poi, sceso dal palco, spiega: prima la devolution, poi la riforma. E auspica che gli insegnanti diventino dipendenti delle regioni. Insomma Ghigo la fa da padrone. E Letizia incassa.
Poi passa al governo. In campagna elettorale Berlusconi ha investito molto sulla scuola. Ora il ministro è costretto a inseguire maggioranza e governo. A invocarla: "Questa riforma è un'occasione anche per il mondo politico che mi auguro non voglia lasciarla cadere".
Per tutta la giornata una paura pende sulla testa della Moratti. La paura del fallimento. L'ansia di riforma rischia di ammazzare il consenso? Allora bisogna diluirla, dissimularla. Rassicurare: non sconvolgere il quadro delle certezze. Se necessario anche gettare smantellare il progetto Bertagna. "Finché non avrò sentito che è una riforma condivisa non la presenterò in parlamento". Come farà Letizia a percepirlo, a materializzarlo questo consenso?
Certo non si materializzerà oggi nelle proteste che la attenderanno fuori dal palazzo. L'ultimo più difficile anello del consenso da recuperare è quello nel paese reale. Letizia non ci prova nemmeno. Semplicemente lo ignora. E fa appello ai numeri. Un giornalista le chiede come giudica il dissenso che gli studenti stanno manifestando e lei risponde con i sondaggi istat. "I numeri dicono che su certi punti della riforma c'è ampio consenso". E aggiunge: "Rivedremo quei punti che registrano meno consenso". Insomma è una riforma a punti quella che la Moratti presenta a palazzo dei Congressi. E piace molto alla platea - a parte alcuni dissenzienti - , che applaude soprattutto quando il ministro dice: "Non ho ricette, non ho una mia idea, non preoccupatevi". Una platea che di quei sondaggi è il simulacro. Piuttosto fredda, grigia, plumbea, ministeriale. Animata solo dagli studenti. Ma il loro posto domani, in fondo a destra sarà deserto. Alla fine della prima giornata hanno deciso di lasciare la sala. In segno di protesta contro una kermesse "illegittima", di una "platea selezionata dal ministero che non rappresenta nessuno". "Non rappresenta quelli che domani saranno là fuori a protestare", dice Giovanni Ricco dell'Uds. Il suo intervento tira fuori l'anima della platea. "Tornatene a casa berlingueriano" gli grida un insegnante pugliese, invitato - confessa - grazie agli articoli che ha scritto contro Berlinguer sulla stampa locale. "Sei un figlio di papà", grida un altro. Gli altri sbuffano, si agitano insofferente, fischiano.
Esce fuori l'anima cattiva. L'hanno aperta i giovani. La richiude sulla platea un vecchio vescovo, monsignor Maggiolini. Con una benedizione al documento Bertagna e un attacco al nemico storico: la sinistra, i comunisti. L'Unità, dice riferendosi al titolo del giornale di ieri ('In cattedra il vescovo leghista'), riprende strumentalmente una vecchia polemica, "la leggenda del vescovo leghista". Chiude con un attacco alla scuola pubblica nascosto dietro un elogio di quella privata: "I genitori non hanno solo la funzione di generare figli per poi consegnarli allo stato e riaverli non si sa come trasformati". Una volta - questa sì che è una leggenda vecchia - si diceva che i comunisti erano mangia-bambini, ora secondo Maggiolini a mangiare i bambini o a plagiarli o a deturparli è la stessa scuola statale... statalista... ergo: comunista.


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