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Unità-La forza del lavoro

La forza del lavoro di Rinaldo Gianola Berlusconi e D'Amato ci hanno provato in tutti i modi. Hanno cercato di dividere i sindacati tra buoni e cattivi, hanno irriso alle manifestazioni dei lavora...

18/04/2002
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l'Unità

La forza del lavoro
di Rinaldo Gianola

Berlusconi e D'Amato ci hanno provato in tutti i modi. Hanno cercato di dividere i sindacati tra buoni e cattivi, hanno irriso alle manifestazioni dei lavoratori degli ultimi mesi, hanno strumentalizzato irresponsabilmente fatti tragici come l'assassinio del professor Marco Biagi per indurre il sospetto che le lotte sindacali fossero il terreno di coltura del terrorismo, hanno minacciato di tirare dritti sul cammino di quelle che chiamano impropriamente "riforme" trascurando ogni proposta e sollecitazione provenienti dal mondo del lavoro. Governo e Confindustria ci hanno provato a lungo, senza risparmiare energie, affinchè fallisse lo sciopero generale convocato da Cgil, Cisl, Uil, condiviso anche dai sindacati di base e dall'Ugl, per respingere l'attacco all'articolo 18 e alla struttura dei diritti del mondo del lavoro.
Non ci sono riusciti. Non è bastato un ultimo sforzo congiunto dei giornali e dei tg di proprietà del presidente del Consiglio a delegittimare ed arginare la marea umana che ieri ha invaso le piazze d'Italia e bloccato il Paese. Il 16 aprile 2002 è una data da scrivere sui libri di storia: non c'è mai stato uno sciopero così grande e partecipato.
Milioni di italiani hanno risposto ieri all'appello dei sindacati confederali che, ben lungi dall'essere malridotti al livello delle Trade Unions ai tempi della Thatcher (il modello di riferimento del riformismo Berlusconi-D'Amato), raccolgono consensi non solo tra i loro iscritti, ma nella società, tra i giovani senza diritti e tra gli anziani in attesa di una pensione dignitosa. Se la propaganda non annebbiasse completamente le menti del governo e della Confindustria, probabilmente potrebbero valutare più compiutamente la partecipazione così ampia e matura di tanti cittadini alle manifestazioni di ieri.
Lo sciopero generale per i sindacati confederali non è mai stato uno strumento di contrasto da utilizzare con leggerezza, tanto per fare una scampagnata e una mangiata gratis come direbbe il nostro presidente del Consiglio: è una scelta che costa sacrifici, che provoca disagi, per questo la storia e il senso di responsabilità dei lavoratori italiani impongono che venga impiegato nei momenti più gravi. Come questo. I lavoratori, i giovani, i pensionati, presenti in massa ieri da Nord a Sud hanno mostrato di aver pienamente compreso qual è la posta in gioco.
Non è solo l'articolo 18 con tutto il suo potere evocativo che solo D'Amato e Berlusconi potevano sottovalutare. Ci sono in gioco il diritto alla scuola pubblica, a un'assistenza sanitaria dignitosa, efficiente per tutti e non solo per chi può pagare di tasca propria.E' l'intero modello europeo di Welfare che viene attaccato dalla destra. Avete capito di quali riforme parlano il governo e la Confindustria?
Non si era mai visto un esecutivo così arrogante nei suoi atteggiamenti e nelle sue politiche verso i lavoratori, i giovani, i disoccupati. Un comportamento che nemmeno ieri, nel giorno dello sciopero, è stato accantonato. Mentre milioni di cittadini italiani manifestavano nelle piazze d'Italia, la maggioranza di centro-destra chiedeva la fiducia in parlamento sullo scudo fiscale e il sommerso, che contengono misure per la sospensione dell'art.18 e stravolgono la contrattazione collettiva.
Altro che dialogo, altro che vediamoci al tavolo e vogliamoci bene.
Probabilmente il tentativo di accelerare l'approvazione di questi provvedimenti, contrastati dai sindacati, tende a nascondere le differenze, a mettere la sordina alla dialettica e alle divergenti posizioni interne al centro-destra. Ma la giornata di ieri lascerà il segno. Anzi l'ha già lasciato. In piazza c'erano i lavoratori, i sindacati, la sinistra e le forze riformiste del Paese. Un blocco sociale che, nel rispetto delle funzioni e dell'autonomia di tutti, può alimentare un patto politico cementato nell'opposizione a Berlusconi.
Ci sono le condizioni perchè il mondo del lavoro difenda i suoi diritti, li estenda a chi non li ha, a quei giovani che anche ieri stavano al call center o friggevano patatine da McDonald's. La destra e gli industriali non sono quel blocco granitico che vogliono far apparire. In Confindustria , ad esempio, il presidente D'Amato continua a perdere i pezzi, se ne vanno imprenditori e collaboratori che non condividono la sua sciagurata linea dello scontro, una politica che non porta risultati, ma danneggia nel suo complesso il mondo delle imprese. Al prossimo vertice della Confindustria se ne andranno Mondello, che doveva riformare lo statuto associativo, Bondi, Barilla e forse altri. Motivi personali, si dirà. Certo, ma quando c'è la fuga di massa allora le dimissioni diventano un caso politico in un'organizzazione diffusa com'è quella degli imprenditori.
Ieri, guardando alla serenità e alla fermezza dei milioni di lavoratori nelle città d'Italia pur in un momento così delicato, notavamo la differenza con il sarcasmo, la protervia, la supponenza del presidente del Consiglio e del suo collega della Confindustria, che a Parma, pochi giorni fa, avevano ripetuto il solito teatrino, fatto di battute e di accuse contro chi non si adegua alle loro straordinarie "riforme". Ma forse questa loro arroganza è anche un segno di debolezza: si possono sconfiggere, magari con un sorriso, come aveva promesso Cofferati.