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Unità: Evviva il Figlio dell’Operaio

La spiegazione dell'immobilità italiana risiede in larghissima parte nel sistema educativo: i figli ereditano la condizione reddituale della famiglia perché ne ereditano, innanzitutto, il livello di scolarizzazione.

06/04/2006
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l'Unità

Stefano Fassina

Uguaglianza

Durante il faccia a faccia di lunedì 3 aprile, l'affermazione più grave pronunciata dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non è stata quella relativa all'abolizione dell'Ici sulla prima casa: il centro-destra ha un «programma» che, senza la citata misura sull'Ici, già prevedeva, in assenza di copertura, costi aggiuntivi per il Bilancio dello Stato per circa 35 miliardi di euro.
La sparata demagogica finale sull'Ici rappresenta, pertanto, un incremento marginale alla «strategia Argentina» di finanza pubblica praticata negli ultimi 5 anni e riproposta per il prossimo quinquennio.
L’affermazione più grave è stata, invece, la seguente: «il paese che non voglio è quello dei Bertinotti e dei Diliberto che pensano che il fine di un governo sia ridistribuire il reddito, aumentare le tasse, rendere uguale il figlio del professionista al figlio dell'operaio». Con tale affermazione il presidente del Consiglio si pone fuori dalla Costituzione della Repubblica Italiana. La nostra Costituzione, infatti, ancora indica che: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (Art.3).
«...I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso» (Art. 34).
«Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività» (Art. 53).
Il nostro Presidente del Consiglio, capo di una coalizione che si definisce Casa delle Libertà, nega il dettato Costituzionale, frutto non di principi bolscevici, ma espressione della cultura liberale classica: uguaglianza delle opportunità; posizione sociale da acquisire in base al merito non da ereditare dalla famiglia di appartenenza. Per Berlusconi, il figlio dell'operaio deve fare l'operaio, non mettersi strani grilli per la testa pensando di poter aspirare ad altro, di avere opportunità di realizzazione di se uguali a quelle del figlio di un professionista. Esprime una cultura politica classista, agli antipodi di quella liberale di cui si dice portatore. Torna all'impianto etico e politico degli Stati pre-moderni, dove la divisioni in classi e l'assenza di mobilità sociale era la norma ed i politici conservatori si impegnavano, in coerenza con il loro nome, a conservare l'esistente, cioè a difendere l'ereditarietà delle condizioni sociali.
Sta qui il vero nodo dello scontro sulle tasse, in particolare sull'imposta di successione e sul «quoziente familiare». Non è uno scontro di natura economico-finanziaria. È politico-culturale. Le tasse non sono un fine in se. Servono certo, come è stato ricordato, ha coprire i costi dei servizi pubblici. Ma servono anche, in un sistema democratico, ha ridistribuire reddito, a promuovere pari o, almeno, non troppo distanti condizioni di partenza tra i cittadini. Il centrosinistra dovrebbe dirlo con maggiore convinzione.
L'affermazione del Presidente Berlusconi è particolarmente grave in quanto l'Italia è un paese che, nell'ambito dei paesi sviluppati, già si distingue per essere una società sostanzialmente bloccata. Pochi dati possono illustrare il nostro «primato». Uno studio recente (S. Moretti, Intergenerational income mobility in Italy, 2005) calcola che il coefficiente di permanenza dei figli nel decile di reddito dei padri è intorno a 0,6, ossia il 60 percento dei figli «eredita» la collocazione reddituale dalla famiglia. Tale livello di immobilità sociale accomuna l'Italia al Brasile, un paese emergente, caratterizzato da profondissime disuguaglianze frutto di decenni di dittature militari. L'Italia è molto lontana dai livelli delle economie sviluppate, non solo quelle a maggiore mobilità come il Canada e la Svezia (rispettivamente, 0,21 e 0,28), ma anche Stati Uniti, Regno Unito e Francia (intorno a 0,42).
La spiegazione dell'immobilità italiana risiede in larghissima parte nel sistema educativo: i figli ereditano la condizione reddituale della famiglia perché ne ereditano, innanzitutto, il livello di scolarizzazione. La lettura delle valutazioni Ocse sulle competenze linguistiche e logico-matematiche degli alunni dei 27 paesi membri, non lascia dubbi sull'ereditarietà del nostro sistema scolastico.
Le valutazioni Ocse sono molto preoccupanti non solo per il peggioramento del livello medio di preparazione degli studenti italiani (ventesimi su 27). Sono anche estremamente preoccupanti per l'enorme differenza dei risultati a seconda della famiglia di provenienza e del territorio di residenza. Daniele Checchi e Vito Perugine ( Regional Disparities and Equality of Opportunity: the case of Italy, IZA 2005) hanno «guardato» dentro la media ed hanno scoperto una estrema polarizzazione: il figlio di genitori con la licenza media o senza titolo di studio, residente nel Centro-sud ha una capacità linguistica pari a quella media di uno studente messicano, all'ultimo posto nella classifica Ocse; all'estremo opposto, il figlio di genitori laureati, residenti nel Nord raggiunge risultati pari alla media degli studenti finlandesi, al vertice della classifica Ocse.
Pari opportunità nelle condizioni di partenza e effettiva mobilità sociale non sono soltanto pilastri delle società liberali, sono anche straordinari fattori di dinamicità, di innovazione, di crescita economica.
«L'Italia ce la farà» se saprà promuovere pari opportunità e mobilità sociale. Se saprà porre il merito al centro dei criteri di formazione e selezione delle classi dirigenti. Se saprà valorizzare i talenti: attraverso la riforma della scuola, la regolazione concorrenziale dei mercati, la contendibilità delle imprese, la riqualificazione delle pubbliche amministrazioni. La cultura politica del Capo della destra italiana e, purtroppo, di ampie aree della coalizione e dei soggetti sociali che continua a rappresentare, sono poco sensibili ai principi delle democrazie moderne e sono un ostacolo alla modernizzazione del paese.
Il programma de L'Unione esprime una cultura politica opposta ed indica le misure per avvicinare l'obiettivo.


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