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«Una scuola senza qualità genera rabbia sociale e populismo»

La povertà e la disuguaglianza educativa tanto più sono oggi un fattore trainante del nazional-populismo in quanto si sommano con la povertà e la disuguaglianza economica

27/06/2019
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Corriere della sera

Luciano Benadusi

Come si desume già dalla sua testata Scuola democratica, rivista trimestrale edita da Il Mulino , ha da sempre focalizzato il suo impegno intellettuale sulla relazione fra educazione e democrazia, in coerenza con il lascito culturale di John Dewey. Questo impegno è divenuto anche più importante oggi dinnanzi ad una crisi della democrazia liberale che va diffondendosi nel mondo sino a farsi minacciosa perfino in Paesi dove sembrava aver piantato le più solide radici. Per tale ragione la rivista ha organizzato la sua prima conferenza scientifica internazionale a Cagliari il 6-7-8 giugno, sul tema «Education and Post-Democracy». La rilevanza attuale del tema, insieme al carattere interdisciplinare ed internazionale della conferenza, spiega l’ampiezza della partecipazione: fra ricercatori universitari ed extra universitari nonché insegnanti e dirigenti scolastici circa 850 persone provenienti da 27 nazioni (dall’Italia all’Europa, dagli Stati Uniti all’America del Sud, dall’Asia al Nord Africa).

Il termine post-democrazia, proposto dal sociologo inglese Colin Crouch in un suo volume del 2003 e dall’autore ripreso più volte anche di recente, come nella videointervista rilasciataci ad hoc per la conferenza, descrive le tendenze in gioco nel processo di crisi della democrazia identificandone l’origine in due fattori: fin dall’inizio il neo-liberismo, poi e in forma ancora più diretta il populismo. Fattori assai diversi, diciamo pure opposti, ma al tempo stesso dialetticamente legati, perché la destabilizzazione economica a livello globale e la crescita delle disuguaglianze provocate dal primo hanno spianato per reazione la strada al secondo. Il populismo, specie nelle sue versioni nazionaliste e xenofobe, mina le fondamenta della democrazia moderna perché ne svuota di sostanza i meccanismi politici erodendone al contempo la base culturale, attaccata soprattutto nel suo tratto costitutivo di tipo liberale: il pluralismo, il rispetto e la valorizzazione della diversità, la difesa dell’autonomia degli individui e dell’opinione pubblica da ogni forma di repressione e manipolazione, la correttezza dell’informazione e dello stesso linguaggio quale prerequisito per la convivenza e la cooperazione sociale pur nel conflitto degli interessi e degli ideali, il giusto peso da riservare alla scienza e alla competenza nella formazione degli orientamenti e delle decisioni pubbliche. Non è dunque una sorpresa che le ricerche e i sondaggi condotti in molti Paesi, richiamati in più occasioni nella conferenza, mettano in luce che il populismo negli atteggiamenti, e in una certa misura nelle stesse scelte elettorali (vedansi ad esempio le elezioni presidenziali negli SU e in Francia e il referendum inglese sulla Brexit) vari inversamente al variare dei livelli di istruzione. Più bassa l’istruzione più alta la quota degli atteggiamenti e comportamenti di stampo populista, xenofobo, intollerante se non addirittura violento.

Evidenze empiriche che corroborano tale conclusione a livello transnazionale sono venute dalla relazione di Loredana Sciolla, un sintesi della quale è uscita su queste pagine il 17 giugno. Un’analisi dei dati della European Values Survey del 2016, presentata alla conferenza da Giancola e Ricotta giunge a conclusioni simili: a fornire le risposte più aperte alle domande sull’immigrazione sono sempre i giovani ben istruiti, specie se appartenenti a famiglie anche esse con elevati livelli di scolarizzazione. Ma in parte lo sono anche quelli provenienti da famiglie poco istruite e che se rimasti sotto-istruiti come i loro genitori si collocano invece sul picco della chiusura. E’ da notare poi che la chiusura si evidenzia maggiormente in Italia rispetto agli altri quattro Paesi considerati (Inghilterra, Francia, Germania, Spagna). Ciò dimostra che se l’origine socio-familiare incide decisamente sul grado di apertura mentale degli studenti un significativo e indipendente impatto su di essa lo esplicano anche la scuola e l’università. Più istruzione e più equamente distribuita rappresenta dunque una precondizione necessaria per rispondere efficacemente alla sfida della post-democrazia. Non la sola, tuttavia.

Una seconda precondizione è l’instaurazione di un forte nesso fra equità nelle politiche dell’istruzione ed equità nelle politiche economico-sociali. La povertà e la disuguaglianza educativa tanto più sono oggi un fattore trainante del nazional-populismo in quanto si sommano con la povertà e la disuguaglianza economica. Le quali a loro volta generano rabbia e protesta nei confronti delle istituzioni democratiche, estremizzazione politica, avversione nei confronti di tutte le élite comprese quelle intellettuali, ostilità verso il diverso, il minoritario, lo straniero. Una terza e cruciale precondizione riguarda la qualità dell’istruzione offerta, nel senso di un suo più intenso e pervasivo indirizzamento all’obiettivo del formare le conoscenze e le competenze strategiche per il buon funzionamento della liberal-democrazia, e ciò a livello sia della società che della politica.

Un’analisi dei dati raccolti nel tempo dalla Swg ci porge un quadro a chiaroscuri, non privo di aspetti preoccupanti. Alla domanda su quanto ha inciso la scuola nel determinare una serie di attitudini rilevanti su questo terreno (“il suo modo di relazionarsi con le idee degli altri”, “il suo modo di informarsi” ed altre simili) le risposte positive dei giovani appaiono nettamente in calo rispetto alle precedenti generazioni. Viceversa aumenta l’influenza della cultura giovanile, cioè degli amici, e dei social che spesso veicolano fake news, linguaggi e ragionamenti iper-semplificati ed emotivi, hate speeches. Donde una sfida per l’istruzione: divenire sempre più luogo di formazione del pensiero informato, critico, argomentativo e riflessivo applicato alla sfera socio-politica e a quella dei new media. Si può pure partire dal dispositivo sull’educazione civica approvato di recente dalla Camera, sulla cui utilizzazione su tematiche attuali in una chiave di gestione democratica delle controversie è stata avanzata a Cagliari un’innovativa proposta da Alessandro Cavalli. Ma la mission dell’educazione ai valori, alle regole e alle pratiche della liberal-democrazia è toppo sfidante e complessa per venire delegata ad un solo insegnante ed in un orario rigidamente delimitato. E non divenire invece un impegno condiviso da tutti i docenti, e da assolvere ciascuno nella sua materia o insieme ad altri in ben progettate attività interdisciplinari.


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