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Una legge che apre una stagione molto difficile

E. Colonna e L. Zou

12/07/2015
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ScuolaOggi

La Buona scuola è diventata legge. Dopo mesi di consultazioni online, assemblee, dibattiti, proteste, scioperi, flash mob, annunci vari, presidi davanti alle sedi parlamentari e manifestazioni che hanno coinvolto tutte le scuole italiane, è finito il primo round della lunga partita che il governo Renzi ha aperto con il mondo della scuola. Questa legge apre una stagione molto difficile: come è stato già scritto si è trattato di un’occasione p

 

Non si può negare, c’è stata una sia pur parziale inversione di tendenza nella politica di tagli che ha colpito la scuola negli ultimi dieci anni, soprattutto per affrontare la difficile questione dell’assunzione dei precari. Tuttavia l’azione complessiva del governo non è stata orientata a sostenere la scuola e chi nella scuola lavora, ma principalmente a rafforzare le funzioni di comando del sistema. Inoltre, si è fatto di tutto per mettere l’opinione pubblica contro la scuola, spesso anche grazie al silenzio e a una grande superficialità da parte dei mezzi di informazione.

 

E ora?

È stato chiesto al Presidente della Repubblica di non firmare la legge, ma nessuno si illude che questo possa veramente accadere.

Certo la sua approvazione costituisce una battuta d’arresto che non bisogna sottovalutare. Ma la scuola è in piedi, ed è fortemente unita nel giudizio negativo sull’azione del governo e della maggioranza parlamentare che l’ha sostenuto. Gli scioperi e tutte le manifestazioni di protesta hanno coinvolto la quasi totalità degli operatori, che non si sono fatti ingannare dalle dichiarazioni demagogiche del presidente del Consiglio. A settembre si riapre la partita, con le deleghe e i decreti attuativi, su questioni di grande importanza.

 

Inoltre, con una recente sentenza la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità del blocco della contrattazione pubblica. Se ne è parlato poco in questi giorni, ma questo significa rimettere al centro la contrattazione collettiva e restituire un ruolo di grande responsabilità ai sindacati. Tornare a occuparsi del contratto infatti può costituire  una occasione importante non solo per affrontare il tema dei livelli retributivi, ma per intervenire sull’organizzazione del lavoro e per utilizzare al meglio la conquista più importante che questa esperienza ha portato alla scuola: la ritrovata unità, sindacale e non solo.

 

Infine, una gran parte del movimento chiede a gran voce di raccogliere le firme per un referendum abrogativo, perché nessuna riforma della scuola può essere imposta da un governo a colpi di fiducia e per giunta con gli insegnanti che assediano il Parlamento. È giusto aprire una discussione seria a questo riguardo. L’importante è che si riesca a parlare a tutto il Paese, chiamandolo a difendere la sua scuola, contro chi farà di tutto, usando tutti gli strumenti possibili, per scavare un fossato fra la scuola e l’opinione pubblica.

 

E comunque la scuola ha vinto, perché ha avuto il merito di avere condotto su un fronte molto ampio una battaglia culturale e politica sulla natura, i fini e il livello della scuola pubblica. Non si vince solo ottenendo risultati, anche se il testo finale in alcuni punti (vedi per esempio la cancellazione del blocco totale degli scatti di anzianità e l’accantonamento dell’utilizzo del 5 per mille) è piuttosto diverso da quello di partenza. Si vince anche imponendo con forza i propri argomenti all’attenzione generale, e la scuola ci è riuscita alla grande. Tanto è vero che il governo è dovuto ricorrere alla fiducia, mostrando così tutta la sua vulnerabilità