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Una casa bella per la scuola

Innovazione è anche restaurare edifici fatiscenti

08/12/2020
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la Repubblica

Andrea Gavosto

Il

presidente del Consiglio ha ribadito il 5 dicembre a la Repubblica l’importanza di istruzione e formazione nei progetti che l’Italia presenterà ad aprile all’Unione Europea nell’ambito di Next Generation Eu. I dettagli non sono ancora noti, ma dalla discussione parlamentare emergono due investimenti prioritari: la formazione digitale dei docenti e l’edilizia scolastica. Se confermate, sono le scelte giuste: migliori competenze professionali di chi insegna e spazi di apprendimento più moderni sono davvero i primi pilastri della scuola di domani. Molto, però, dipenderà dal metodo e dalla visione su cui si fonderanno.

Per la prima volta durante il lockdown molti insegnanti hanno imparato a usare le piattaforme digitali. Spesso, però, il loro impegno ammirevole si è ridotto a una serie di videoconferenze. Eppure sappiamo che l’insegnamento online, integrato a quello in presenza (quel blended learning, che in altri sistemi educativi sta dando esiti promettenti), sarà importante anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Ma allora lezioni e ogni altra attività di classe andranno ripensate affinché le risorse digitali possano dare il meglio di sé, coinvolgendo gli studenti in modo attivo. La didattica digitale è innanzitutto didattica, non solo accesso, ed è proprio sulla capacità di variare le strategie di insegnamento, a seconda delle esigenze degli studenti e dei contenuti, che la scuola italiana è in grande ritardo.

Non meno urgente è intervenire sugli edifici. Il nostro patrimonio di edilizia scolastica risale in gran parte agli anni Sessanta e Settanta e richiede importanti lavori, per almeno tre ragioni. La prima è la sicurezza: molte scuole sono da esaminare a fondo per capire se soffrono di problemi strutturali e per adeguarle alle norme antisismiche. La seconda ragione è di sostenibilità: quasi tutte le strutture scolastiche sono inefficienti sul piano energetico e molto va fatto per migliorare isolamento, impianti termici e illuminazione. La terza — guai a scordarla — è che gli edifici non sono meri contenitori. Lo spazio, al contrario, condiziona il modo di insegnare e la qualità della didattica. E le nostre scuole sono state progettate ieri con in mente un unico modello: la lezione dalla cattedra. Oggi gli spazi scolastici — tutti gli spazi, interni ed esterni, non solo le aule — dovrebbero essere ripensati per strategie di insegnamento più varie, incluso il blended learning.

Secondo le stime della Fondazione Agnelli, per rinnovare i 40.000 edifici scolastici occorrono circa 200 miliardi, l’11% del Pil annuale, da distribuire su un arco di molti anni, con priorità definite. I fondi europei sono quindi indispensabili. Come lo è una programmazione seria degli interventi, che è quello che più ci preoccupa. In particolare, quali siano le priorità sul fronte dell’edilizia scolastica non si sa. I dati sullo stato delle strutture a livello regionale sono disponibili, ma non risulta che il ministero ne abbia avviato un’analisi, immaginando modelli e un dialogo con le comunità scolastiche. C’è il rischio che, nella fretta di presentare ad aprile qualcosa all’Unione Europea, si chieda a Comuni e Province — gli enti proprietari delle scuole — di tirare fuori dai cassetti vecchi progetti. Che sarebbero inevitabilmente disorganici e forse inutili, perché privi del denominatore comune che tiene insieme sicurezza, sostenibilità e qualità didattica. Uno spreco inaccettabile di denaro. E anche di idee: negli ultimi anni architetti e urbanisti hanno ripreso, infatti, a riflettere sulle scuole come migliori luoghi di apprendimento, ma anche nodi essenziali della nostra vita civile. Sarebbe imperdonabile non coinv olgerli nel ripensare la principale infrastruttura sociale del Paese

Andrea Gavosto è direttore della Fondazione Agnelli


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