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Un contratto ponte

Pippo Frisone

07/02/2018
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ScuolaOggi

C’era da aspettarselo: un bel contratto-ponte salverà la faccia a tutti. Al Governo che in campagna elettorale, con le poche risorse messe a disposizione, potrà dire d’aver

chiuso tutti i contratti del pubblico impiego prima delle elezioni del 4 marzo.

Ai Sindacati che acchiappando gli 85 euro, li venderanno come acconto sul contratto vero, quello

del triennio 2019/21 col nuovo Governo che uscirà dalle elezioni.

Dalle dichiarazione dei Segretari Generali delle tre Confederazioni s’era capito che eravamo alla

stretta conclusiva per i contratti degli enti locali e della Conoscenza ( Scuola-Università-Ricerca)

Il richiamo all’intesa politica Governo-Sindacati del novembre 2016 sui rinnovi contrattuali del P.I.

e l’aggiornamento dell’Atto d’indirizzo del Governo all’Aran sul contratto della conoscenza, vanno

nell’unica direzione possibile. Chiudere subito, mettendo delle toppe dove è possibile e dove non lo

è, rinviando al triennio prossimo venturo.

Sarà cosi stralciata tutta la delicatissima partita del

disciplinare che riguarda i docenti, lasciandola per il momento fuori dal contratto, tanto è già

regolata per legge, decreto Brunetta prima e Madia dopo.

Sulle relazioni sindacali, il Governo a denti stretti metterà i 200Mln del bonus sul merito all’interno

della contrattazione nazionale sui criteri di attribuzione, lasciando però inalterati i poteri del

Comitato di valutazione e l’individuazione finale dei docenti meritevoli da parte dei dirigenti

scolastici. Così anche sul blocco triennale della mobilità assisteremo ad un rinvio mentre su orario

e obbligo della formazione/aggiornamento la partita è molto incerta e si giocherà o dentro o in

aggiunta all’orario obbligatorio, funzionale all’insegnamento che la bozza Aran vorrebbe unificare

a 80 ore.

Afronte di una perdita del potere d’acquisto, stimata oltre il 15% dopo 10 anni di blocco

degli stipendi, il 3,48% di aumento proposto dal Governo non fa che allontanarci sempre più

dall’Europa che adesso bacchetta l’Italia, fanalino di coda per gli stipendi troppo bassi.

Afronte dei 63mila euro annui di stipendio d’un docente tedesco della secondaria al massimo della

carriera (28 anni) un docente italiano della secondaria arriva a stento, dopo 35 anni, a 37mila.

Non va meglio se confrontiamo gli stipendi iniziali della secondaria: 46mila del docente tedesco

contro 24mila del docente italiano .

Lasciamo perdere il confronto con la Germania, per noi irraggiungibile, sarebbe perlomeno

auspicabile un innalzamento che avvicini gli stipendi dei docenti italiani alla media europea.

E visto che non bastano le risorse stanziate nel 2018, per raggiungere questo obiettivo bisogna

puntare al rinnovo 19/21.

Un impegno questo che in campagna elettorale non sta trovando spazio di propaganda sufficiente.

Dal modello finlandese di scuola dei 5 Stelle alla Buona Scuola del PD, segnali concreti in questa

direzione se ne vedono pochi. E quasi tutti al ribasso.


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