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Turchia, l’epurazione nella scuola e l'ipoteca di Erdogan sul futuro

regime vuole inaridire in fretta i germogli di libertà di pensiero tra i giovani

21/07/2016
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Corriere della sera

MAurizio Caprara

In apparenza meno cruenta di altri aspetti della brutale repressione successiva al golpe fallito la settimana scorsa, l’epurazione in corso nelle scuole turche deve preoccuparci molto. Il licenziamento di 15.200 insegnanti e la richiesta di dimissioni di 1.577 presidi universitari denota due caratteristiche della seconda fase, quella di un autentico regime, della lunga stagione di Recep Tayyip Erdogan al potere cominciata nel 2003. La prima caratteristica è lo svelarsi del suo essere un progetto di lunga durata. Musulmano già incarcerato a fine anni Novanta per aver incitato all’odio religioso, il capo dello Stato turco e fondatore del partito della Giustizia e dello sviluppo non è appagato dal limitare la libertà di espressione attuale. Erdogan vuole inaridire in fretta i germogli della libertà di pensiero tra i cittadini turchi del futuro: le bambine, i bambini, le ragazze e i ragazzi di oggi. Tra presidi e docenti, quanti potenzialmente potrebbero non adeguarsi al dettato del ministero dell’Istruzione e del Comitato per l’istruzione superiore vengono intimiditi, inibiti nella propria autonomia dall’emarginazione che viene riservata a chi ha osato alzare la testa o è stato sospettato di volerlo fare.

Le liste di proscrizione e l’Occidente distratto

L’altra caratteristica del nuovo assetto di regime è che la fase della repressione massiccia era già stata preparata, almeno tratteggiata, durante la precedente. Mentre all’estero Erdogan poteva anche non piacere, ma era pure sempre un governante legittimo, forse troppo forte, eppure non un dittatore. L’indole illiberale del Presidente della Turchia e del suo seguito ha avuto un’incubazione che l’Occidente non è riuscito a percepire per tempo. Non si inventano in un fine settimana liste di proscrizione di migliaia di persone, e chi ha senno non corre il rischio di favorire, con licenziamenti di massa, un malcontento capace di covare decenni prima di esplodere in ribellione.

Non applaudire una repressione senza onore

Evidentemente Erdogan punta a impaurire i suoi concittadini più laici, i meno propensi a gettar via la lenta e lunga evoluzione della Turchia precedente al suo arrivo al potere. E si spinge a farlo perfino spruzzando una sorta di insetticida sui cervelli e sugli scambi di conoscenze tra generazioni dai quali nascono idee. Guai se dimenticassimo l’importanza geopolitica del Paese presieduto da Erdogan, almeno fino a poco fa essenziale fattore di stabilità e argine collocato tra il Medio Oriente e zone nelle quali Russia e Unione Europea convivono in tensione. Il realismo politico, tuttavia, non obbliga ad applausi codardi verso una repressione senza onore


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