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Torino, la denuncia di una ricercatrice: "Lasciata a casa dall'Università perché sono incinta"

A metà maggio non le è stato rinnovato il contratto da 1.100 euro al mese che durava da 15 anni. "Mi hanno detto: le cose cambiano". Il rettore Ajani: "Abbiamo le mani legate, serve una legge"

16/06/2017
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la Repubblica

Jacopo Ricca

Lasciata a casa dall'Università di Torino perché è rimasta incinta. La denuncia arriva da una ricercatrice di Agraria che a metà maggio si è vista non rinnovare il contratto, una borsa di studio da 1100 euro netti al mese, dopo 15 anni di collaborazione con i professori dell'ateneo. “Ho avuto una carriera fatta di collaborazioni continuative che è iniziata nel 2002 con il primo contratto – racconta Barbara Dal Bello – Dopo la laurea e il dottorato, ho avuto per quattro anni assegni di ricerca, mentre negli ultimi due ho avuto solo borse di studio che ora non solo non mi danno diritto alla maternità, ma nemmeno all'indennità di disoccupazione”.

L'aspettare un bambino è stato un problema fin quasi da subito, spiega Barbara: “Ora sono all'ottavo mese, ma quando mi hanno detto che non mi avrebbero rinnovato il contratto avrei potuto ancora lavorare – racconta la ricercatrice – L'unico problema è che non potevo farlo nei laboratori dove svolgo di solito i miei studi perché lavoriamo con solventi organici con cui non si può entrare in contatto durante la maternità, però avrei potuto fare molte altre cose”.

La vicenda è stata denunciata durante l'inaugurazione dello "Sportello precari" aperto nel rettorato dell'Università di Torino dal coordinamento dei ricercatori precari di Unito e dalla Flc Cgil: “A 37 anni, con laurea e dottorato e tutti i titoli accademici che si possano avere, avevo una borsa di studio da 1100 euro netti al mese – denuncia Dal Bello – Ho scelto che era il momento per fare un figlio anche se sono precaria e con uno stipendio relativamente basso rispetto alla mia qualifica, ma non avrei mai pensato in una risposta come questa”. Il mancato rinnovo non è stato legato ufficialmente alla maternità: “Un fatto certo però c'è - dice la ricercatrice - A dicembre, prima che dicessi che ero incinta, era stato messo in previsione un fondo perché io continuassi a lavorare in quel laboratorio, ma quando a gennaio ho rivelato che aspettavo un bambino mi hanno detto proprio così: 'Le cose cambiano' ”. Quello di Barbara Dal Bello è uno dei tanti casi di precarietà negli atenei italiani di cui domani si discuterà nell'assemblea nazionale dei precari della ricerca, convocata a Torino nel dipartimento di Fisica.

I vertici dell'Università si stanno occupando del caso. Ieri pomeriggio la ricercatrice è stata ricevuta dalla prorettore dell'ateneo, Elisabetta Barberis, che sta seguendo la questione su cui però interviene anche il rettore, Gianmaria Ajani: “Questa è una vicenda - dice Ajani - che segnala come ci sia un vuoto normativo che abbiamo denunciato più volte. Uno dei problemi della precarietà negli atenei è che c'è una vera giungla di contratti, ma sono pochi quelli dove ci sono diritti e garanzie”. Sulla vicenda della ricercatrice spiega: “Al termine del suo contratto non è previsto nessun tipo di tutela, diverso sarebbe se avesse avuto un assegno di ricerca, ma purtroppo lei aveva già usufruito per il numero massimo di anni di questo tipo di contratto. Come atenei abbiamo le mani legate, è necessario un intervento del governo e del legislatore che abbiamo già chiesto in tante occasioni”.

Il rettore Ajani annuncia anche che domani due suoi rappresentanti parteciperanno all'assemblea nazionale dei precari: “La vicenda di questa ricercatrice è emersa grazie allo sportello voluto dal coordinamento dei precari e dalla Cgil, ma anche il comitato unico di garanzia dell'ateneo serve a fare emergere queste storture su cui cerchiamo sempre di intervenire”.


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