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Test drammatici Sulla lingua in gioco il futuro della democrazia

Mariapia Veladiano

11/07/2019
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la Repubblica

Per gli studenti le prove Invalsi sono una rilevazione e non una valutazione, e così deve essere e deve restare, ma per il sistema scolastico nazionale rappresentano una vera valutazione della validità del proprio lavoro e i risultati restituiti, di anno in anno sempre più precisi, possono orientare le decisioni politiche sulla scuola, e subito, perché i miglioramenti nel campo degli apprendimenti chiedono tempo e quel che conta è invertire le tendenze negative, sia pur di poco, anno dopo anno, partendo dai dati più importanti.

1. Abbiamo un problema con la lingua italiana. Un dramma perché la competenza linguistica è trasversale a tutte le discipline e l’analfabetismo funzionale, cioè non capire quello che si legge, impedisce ogni tipo di apprendimento, impedisce l’esercizio della vita democratica, limita il pensiero, ci rende le prede ideali di ogni tipo di demagogia e pregiudizio.

2. Il problema della lingua è più grave al Sud e, vien da dire, si porta dietro i risultati non positivi anche in matematica e inglese.

Perché? Invece di lanciarsi su luoghi comuni intorno alla qualità dell’insegnamento al Sud, è il caso di ricordarci che lo status socio-economico e culturale influisce sui risultati lungo tutto il corso degli studi e che le indagini Ocse-Pisa ci mostrano che gli apprendimenti sono condizionati dalla dotazione culturale di contesto delle famiglie (disponibilità di libri, strumenti informatici, spazi adeguati allo studio), dal clima disciplinare di classe (fattori che sostengono l’attenzione), dalle condizioni fisiche dell’aula (banchi, acustica, decoro, dotazioni tecnologiche).

3. Abbiamo un problema di equità.

Equità significa che a partire da condizioni sociali ed economiche diverse ciascuno studente e ciascuna studentessa ha la possibilità di accedere alle stesse opportunità formative. È la misura vera della scuola democratica.

L’Italia ha una mobilità intergenerazionale (figli che acquisiscono un titolo di studio superiore a quello dei genitori) del 19% contro la media Ocse del 37%.

Ma qui qualcosa si può fare. La variabilità, cioè il divario, dei risultati fra scuole e fra classi della stessa scuola aumenta da Nord a Sud fin dalla scuola primaria. Vuol dire che i ricchi di soldi e di cultura tendono a scegliere le stesse scuole che diventano di eccellenza, più al Sud che al Nord. E vuol dire che dentro ciascuna scuola si creano classi di livello, dove si aggregano ragazzi eccellenti, oppure dove si collocano docenti stabili che assicurano continuità e progetti.

Nell’apprendimento c’è un "effetto di contesto" che può far volare i risultati e servire l’equità, se il gruppo classe è variegato e disomogeneo per livello. Bisogna contrastare i meccanismi che portano alla ineguale distribuzione degli studenti.

Questo lo si può fare ed è una delle poche cose che dipendono davvero esclusivamente dai presidi.

Bisogna aver coraggio e visione, come si dice.

4. L’autonomia differenziata così come è per ora tratteggiata dalla politica, in questa situazione sarebbe una iattura. Le regioni del Nord hanno già risultati migliori, senza autonomia.

5. Dal Nord al Sud serve una maggiore competenza linguistica.

Tullio De Mauro diceva che la lingua la si impara per esposizione. Su questo la scuola italiana è proprio un presidio di resistenza perché il contesto sociale è tremendo.\


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