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Tasse universitarie, colpiti i meno abbienti

SECONDO IL RAPPORTO ANNUALE OCSE SULL’ISTRUZIONE, GLI STUDENTI ITALIANI PAGANO LE TASSE PIÙ ALTE D’EUROPA DOPO I COLLEGHI INGLESI ED OLANDESI.

13/01/2013
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l'Unità

Mario Castagna

SECONDO IL RAPPORTO ANNUALE OCSE SULL’ISTRUZIONE, GLI STUDENTI ITALIANI PAGANO LE TASSE PIÙ ALTE D’EUROPA DOPO I COLLEGHI INGLESI ED OLANDESI. In cambio ricevono i peggiori servizi in termini di borse di studio raggiungendo un non invidiabile ultimo posto nella classifica dell’area Ocse. Non va meglio con gli altri indicatori, dal momento che mostrano che l’Italia è in significativo ritardo sia nella spesa per l’università (32° su 37 nazioni in percentuale sul Pil) sia nella spesa media per studente (16° su 25 per spesa cumulativa lungo il corso degli studi). I problemi dell’università sono quindi chiari e sotto gli occhi di tutti. Purtroppo l’ultimo atto del governo Monti non ha invertito la rotta rispetto ai precedenti governi. Nella legge di stabilità, approvata poco prima delle dimissioni di Mario Monti, è previsto infatti un taglio di 300 milioni di euro al Fondo di Finanziamento Ordinario delle università, pari al 4,3 %, dopo che negli ultimi anni i tagli erano stati di circa il 20%. In questo modo i soldi a disposizione sono addirittura insufficienti a coprire le spese fisse per gli stipendi. Il 2013 rischia quindi di essere l’anno del collasso del sistema universitario italiano. Come porre rimedio a questa situazione? La proposta in campo, rilanciata periodicamente dalle pagine del Corriere della Sera con gli articoli di Ichino, Terlizzese o Giavazzi, prevede l’abolizione di qualsiasi limite in alto alle tasse universitarie degli studenti, oggi stabilito nel termine massimo del 20% del trasferimento pubblico alle università. In compenso gli studenti più poveri potranno accedere ai prestiti d’onore che garantiranno loro la possibilità di frequentare ugualmente l’università in mancanza di un sistema di sostegno pubblico. La proposta, rilanciata anche da Pietro Ichino e da altri senatori in una famosa interrogazione parlamentare al ministro Gelmini, riprende, quasi integralmente, la riforma che la commissione Browne suggerì al governo conservatore inglese per trovare nuove forme di finanziamento delle università. L’aumento delle tasse fino a 9 mila sterline annue ha portato però ad un crollo delle immatricolazioni. Ancora è difficile individuare delle cifre precise, ma la diminuzione dei ragazzi che si inscrivono all’università non è inferiore al 10% rispetto all’anno precedente, secondo le stime dello stesso governo inglese. La situazione è così preoccupante che il Ministro dell’Istruzione inglese David Willetts ha proposto di inserire i figli della working class bianca tra le categorie protette destinatarie di politiche di discriminazione positiva per agevolare la loro iscrizione all’università. In pratica l’applicazione della norma che permette di alzare le rette ha escluso dalla platea studentesca coloro che, proprio grazie allo studio, erano stati protagonisti di processi anche importanti di mobilità sociale negli ultimi decenni. In Italia le cifre relative alla diminuzione delle iscrizioni sono simili ma le tasse, in continuo aumento, hanno ancora un preciso limite. Negli ultimi quattro anni le iscrizioni sono calate del 10%. Mancano all’appello più di 30.000 giovani che sono costretti a scegliere altre strade a causa dei costi crescenti per l’istruzione universitaria. Se la proposta Ichino prendesse piede le cose peggiorerebbero ulteriormente. Infatti la propensione al rischio diminuisce nella classi sociali più disagiate, secondo quanto la Banca d’Italia afferma nella propria indagine biennale tra le famiglie italiane. Quindi i più poveri rischiano di essere colpiti da una spirale perversa, in cui l’aiuto offerto si trasforma rapidamente un ulteriore handicap. Il problema alla fine rimane sempre lo stesso ed è a questo quesito che devono rispondere le forze politiche che si presenteranno alle prossime elezioni: come si finanzia il sistema dell’università in modo equo e socialmente sostenibile? Ma da un punto non si può prescindere. Nelle migliori università del mondo la contribuzione studentesca è una piccola parte del budget annuale. Nelle università di Harvard, Princeton e Yale, la meravigliosa Ivy League statunitense, le tasse universitarie coprono rispettivamente l’8,3%, il 7,0% e l’8,9% del bilancio annuale. In Italia la media nel 2010 era del 12,9%, ma il maggiore ricorso ai soldi degli studenti e delle loro famiglie per finanziare l’università italiana, non ha garantito una maggiore qualità. La domanda rimane quindi ancora senza risposta.