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Sussidiari. La fabbrica anonima che scrive i manuali per le elementari

Dopo il caso del libro di scuola che ha confuso “rifugiato” con “clandestino” viaggio nel mondo più sommerso dell’editoria

27/10/2017
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la Repubblica

Simonetta Fiori

In fondo non è molto diverso dallo smartphone: dopo due anni è già vecchio, inutilizzabile, oggetto d’antiquariato agli occhi di bambini che cambiano vorticosamente mondi visivi e gusto grafico. Potrà apparire bizzarro, ma così si presenta oggi uno strumento culturale che già dal nome — sussidiario — evoca il tempo lento del piccolo mondo antico, le atmosfere sospese con i banchi maestosi e le maestre dalla penna rossa. E invece una rapida incursione

nell’”officina dello scandalo” rivelerà ritmi produttivi accelerati, e all’opera una classe di “camalli” agili e scattanti che per arrotondare lo stipendio da insegnante non si sottraggono alla fattura di manuali che nascono e muoiono alla velocità della luce.

La curiosità nasce dopo l’incidente in cui è incorso un manuale dell’editore torinese Il Capitello: la confusione tra “rifugiati” e “clandestini” e una punta di benevolenza verso l’intolleranza degli italiani hanno suscitato la protesta di molti osservatori. Come nascono i sussidiari, ossia i libri adottati in quarta e quinta elementare? E chi sono gli artefici di testi che rappresentano un segmento del mercato molto piccolo — meno del 17 per cento dell’editoria scolastica — però fondamentale per la formazione della geografia mentale? Intelligenti si diventa, diceva il maestro Manzi che ai manuali ha dedicato parte della sua passione.

Qualche cifra serve a inquadrare il fenomeno. Sono 1013 i sussidiari tra cui gli insegnanti hanno scelto per l’anno scolastico in corso: nella più fortunata delle ipotesi, questi testi possono reggere due anni, se va bene anche tre, ma poi escono definitivamente di scena, bruciati da un mercato incontenibile. «Il ricambio è continuo, diversamente da quanto accade nella manualistica

Gli autori? Maestri, presidi e pensionati

delle scuole medie», dice Andrea Chiaramonti, amministratore delegato di Giunti Scuola, tra i marchi leader del settore. «I gusti dei bambini cambiano, così aggiorniamo le immagini e l’impostazione grafica». Le conseguenze sono evidenti: è difficile che un sussidiario possa divenire un classico, magari rinnovato nelle diverse edizioni, o che un autore si possa consolidare. E di fronte a questo incendio frettoloso delle novità, la casa editrice è costretta a sfornare costantemente nuove proposte. «Ma con la crisi che colpisce l’editoria è da escludere che vi investa somme esorbitanti», interviene Benedetto Vertecchi, principe dei pedagogisti italiani. «Ogni anno lo Stato stabilisce quanto vuole spendere: e gli editori vi si adeguano cercando di limare i costi fino all’ultimo centesimo». È il Miur a fissare il limite del prezzo di copertina, i Comuni provvedono a risarcire gli editori (le famiglie non spendono). «Questo significa», prosegue Vertecchi, «che la casa editrice tenderà a escludere tutto ciò che possa prefigurare una lievitazione dei costi, e dunque anche le novità che comportino un impegno maggiore».

Così la tendenza è a reclutare insegnanti magari bravi e volenterosi ma non troppo esigenti nel compenso. E in grado di portare a termine l’opera ai ritmi imposti dall’implacabile meccanismo. Gli artefici dei sussidiari sono per lo più docenti in pensione o giovani maestri impegnati, o anche presidi, pedagogisti, psicologi, esperti di didattica: tutti, o quasi, con una solida esperienza nel mondo della scuola. L’età può variare dai 40 ai 65 anni. «Il lavoro non è facile perché è diventato tutto molto veloce», racconta Vincenzo Ruta, maestro elementare nella provincia di Torino. Il suo sussidiario dei linguaggi — il vecchio libro di lettura — ha venduto 40mila copie, nella tasche di Vincenzo sono entrati meno di 25mila euro in tre anni. «Ma io non lo faccio certo per i soldi», dice il maestro Ruta. «Sono molto contento della mia collaborazione con Pearson, un editore attento alla qualità. E ora sto già lavorando a un nuovo manuale». Il suo Sette colori, giocato sui diversi temi dell’infanzia come l’amicizia o gli animali, è già arrivato al terzo anno. Pronto per finire in soffitta.

Un altro recente cambiamento riguarda le redazioni, ormai prevalentemente esternalizzate, come si dice nel gergo aziendale: i redattori, in sostanza, non sono dipendenti della casa editrice ma lavorano in proprio per i diversi marchi editoriali. «Non sempre ci si affida a redazioni esterne », interviene Roberto Devalle, direttore editoriale di De Agostini Scuola. «Questo accade più spesso nelle grandi aziende, che però hanno al loro interno un coordinatore redazionale». I signori dei sussidiari sono prevalentemente Mondadori & Rizzoli, Giunti, Pearson, insomma i colossi dell’editoria, insieme a sigle minori come appunto Il Capitello, la casa editrice ora sotto accusa. «Da noi esiste una redazione specializzata», dice Aaron Buttarelli, direttore editoriale di Mondadori Education. «Professionisti che svolgono una parte essenziale dell’opera».

Il lavoro dei “sussidiaristi” non è affatto semplice anche perché i libri di testo «sono oggetti sempre più complessi, che affiancano al lavoro sulle conoscenze — il profilo storico e geografico, scientifico e matematico — quello sulle competenze, con una crescente attenzione all’inclusione», dice Barbara Bacchelli, direttrice di Pearson per la scuola primaria. Anche l’innovazione didattica costringe gli autori a un continuo aggiornamento: uno dei più recenti riguarda l’inserimento del coding e del pensiero computazionale nello studio della matematica alle elementari.

Se questa è la turbinosa cornice dei sussidiari, la percentuale di sciocchezze non è poi così alta. «È successo poche volte che abbiamo

Un testo invecchia in fretta: dura due anni

dovuto segnalare errori all’Aie», dice Carmela Palumbo, la dirigente del Miur che a lungo s’è occupata dei manuali scolastici. «Una volta mi chiamò un’ambasciata straniera per farmi notare che in un testo i dati di quel Paese erano sbagliati». Sicuramente è da rivedere l’impostazione di genere. Una recente inchiesta fatta dalla Società delle storiche italiane dimostra come le donne siano liquidate in una didascalia o in un paragrafo isolato, comunque sempre sante, regine o giudicesse, mai nella veste anonima di gente comune, come invece accade ai maschi. «I sussidiari di oggi non sono certo peggiori di quelli di sessant’anni fa», sottolinea Vertecchi. «Mi ricordo la fortuna editoriale di certi sciocchezzai che collezionavano le scempiaggini dei manuali». La differenza, conclude lo studioso, è che oggi il sussidiario è l’unico oggetto culturale sopravvissuto nelle scuole. «Se sopprimiamo anche quello, resta ben poco».