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Sulla scuola il governo non ha ancora nessuna strategia

Intervento di Francesco Sinopoli su L’Huffington Post.

05/06/2020
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L'Huffington Post

Condivido e apprezzo l’analisi che Fabio Luppino ha proposto ai lettori di Huffington Post sulla “dura realtà” in cui versa l’intero sistema italiano dell’istruzione, pubblica e privata, sottoposto alla drammaticità della pandemia da Covid-19. Come giustamente egli osserva, si tratta di governare ora la transizione dal periodo di emergenza a quello del rientro nelle aule scolastiche e universitarie in condizioni di assoluta sicurezza e di serenità per lavoratrici, lavoratori, studentesse e studenti.

Con quali risorse, quali strumentazioni materiali, quali strategie di breve, medio e lungo periodo? Nonostante gli enormi sforzi compiuti dai sindacati per mettere al centro del dibattito pubblico questi interrogativi, e nonostante la disponibilità offerta, dal governo non sono arrivate risposte efficaci e razionali. Per questa ragione i sindacati hanno indetto e confermato lo sciopero di lunedì 8 giugno. Siamo in ritardo gravissimo, ma le decisioni su risorse, strumentazioni materiali e strategie stentano ancora ad essere elaborate.

E temiamo che a settembre nulla di tutto ciò che è stato promesso possa realizzarsi. Osservo, ad esempio, che l’attuale numero di aule scolastiche (qualora costituite a norma) potrebbe riuscire ad accogliere neanche la metà degli alunni a settembre se, come noi crediamo, si dovranno seguire le raccomandazioni del Comitato tecnico-scientifico rispetto alla necessità di garantire il distanziamento fisico. Naturalmente, se l’obiettivo fosse quello di riportare in presenza tutti gli studenti a partire dai più piccoli, quelli dell’infanzia e della primaria.

Per accogliere la restante parte occorrerebbe reperire ulteriori aule entro settembre e, ipotizzando che queste siano in grado di ospitare mediamente 15 alunni, occorrerebbero più di 270.000 nuove aule, oltre la metà del numero di aule attualmente impegnate. In aggiunta alle aule occorrerà assicurare il personale docente e ata.

Per coprire il tempo scuola di 30 ore settimanali in 33.039 nuove “classi” dell’infanzia e 89.580 per la primaria occorrono circa 160.000 docenti per un costo pari a 4,5 miliardi di euro per 10 mesi. Per coprire il tempo scuola di 30 ore settimanali in 59.726 nuove “classi” del I grado e 89.292 per il II grado occorrono circa 245.000 docenti per un costo pari a 7 miliardi di euro per 10 mesi.

A ciò va aggiunto il personale Ata (soprattutto collaboratori scolastici, per garantire l’igiene e la pulizia dei locali), in misura pari a circa 80.000 unità per un costo di 1,8 miliardi di euro per 10 mesi. Su questa “dura realtà” dei dati avremmo voluto confrontarci durante il vertice, importante ma deludente, a palazzo Chigi. Ma ci hanno spiegato che il modo migliore per iniziare a settembre è introdurre cabine in plexiglass per gli studenti, o divisori dello stesso materiale. La necessità determinata dalla tragedia che stiamo vivendo dovrebbe essere trasformata in una opportunità per la scuola pubblica, che merita spazi non solo sicuri ma adeguati ai bisogni di apprendimento dei nostri studenti e un tempo scuola altrettanto adeguato.

Questo significa risorse per raggiungere l’obiettivo del tempo pieno in tutto il paese, fondamentale per realizzare quegli obiettivi costituzionali di inclusione e uguaglianza a cui teniamo. Da questa consapevolezza nascono le nostre perplessità e preoccupazioni, più volte espresse, in ogni occasione in cui ci è stata data la parola. Ora la battaglia si sposta sul Decreto Rilancio che destina risorse ancora del tutto inadeguate per la ripartenza a settembre.

Una buona occasione per tentare una soluzione condivisa ai problemi della transizione – ivi compresa la gestione intelligente e razionale dei concorsi per i precari storici – sarebbe stata già quella fornita dal Decreto legge “Scuola”, sul quale però il governo ha deciso di mettere la fiducia sia al Senato che alla Camera, troncando di fatto ogni possibilità di confronto pubblico. Un’occasione purtroppo perduta, per tattiche politiciste e del tutto prive di motivazioni adeguate. Ridicola, ad esempio, la contrapposizione che alcuni esponenti della maggioranza di governo hanno veicolato nell’opinione pubblica sui presunti assertori della “sanatoria” per i precari storici con almeno tre anni di insegnamento a tempo determinato, contro gli “eroi della meritocrazia”.

È con questi giudizi che è stato condotto, purtroppo, il confronto pubblico, con una canzonatura delle nostre posizioni. Parliamo, giova sempre ricordarlo, di docenti che lavorano da anni nella scuola e non hanno potuto accedere a nessuno dei 3 concorsi che si sono svolti negli ultimi anni (2012, 2016 e 2018) in quanto privi dell’abilitazione. Tale titolo era per questi docenti una chimera impossibile da raggiungere, poiché dal 2013 una serie di norme maldestre hanno prima rinviato e poi del tutto cancellato i percorsi abilitanti previsti per gli insegnanti denominati TFA (Tirocinio Formativo Attivo).

Questi docenti sono invecchiati lavorando con le supplenze, hanno accumulato anni di servizio ed esperienza e una norma decisa nella legge di Bilancio 2019 ha cancellato i percorsi loro dedicati per l’accesso al ruolo e all’abilitazione e ha previsto che si cimentassero al pari dei neo-laureati con un nuovo concorso ordinario. Tutta la vicenda nasce quindi da un coacervo di norme sul reclutamento che hanno fatto e disfatto i percorsi di accesso alla formazione abilitante e al ruolo diverse volte, sulla pelle di lavoratori che da anni fanno funzionare la scuola. 

Noi continuiamo a credere che la cosa più importante sia l’investimento nella formazione dei nostri docenti sia per accedere al ruolo che in tutte le fasi della loro vita professionale. Coerentemente con questa idea avevamo proposto di introdurla nel percorso di stabilizzazione. Una posizione di merito che si è cercato da parte di alcuni di banalizzare nel dibattito pubblico costruendo una caricatura del sindacato.

Ormai sparare sui sindacati torna ad essere parte di uno sport nazionale. Una volta, quando si facevano “chiacchiere da bar” emergeva sempre qualcuno che esclamava: “è sempre colpa dei sindacati”. Qualcuno annuiva, qualcun altro continuava a bere immerso nei suoi pensieri, altri ancora proseguivano con altre “chiacchiere da bar”. D’altro canto si chiamano così per questo. Ora, però, leggere una “chiacchiera da bar” sui sindacati sulla prima pagina del quotidiano più diffuso in Italia muove a qualche considerazione (e non solo per fatto personale, dal momento che mi chiama in causa direttamente).

L’argomentazione di Galli Della Loggia sul Corriere della Sera è certamente più sofisticata e brillante, come si addice a un intellettuale appollaiato sul predellino della storia. In realtà, si tratta proprio di “chiacchiere da bar”, nonostante lo stile. Cosa si nasconde dietro la perorazione di nuove forme di aggregazione associativa dei docenti, ai quali sarebbe stata negata la parola perché “ingabbiati dai sindacati”?

Si nasconde il tentativo di delegittimare l’esperienza del sindacato confederale, riportando indietro le lancette della storia, seguendo in realtà la traccia di chi auspica la fine della mediazione sindacale organizzata, dei contratti collettivi nazionali di lavoro, della solidarietà tra tutti i lavoratori. Peraltro le associazioni professionali degli insegnanti esistono e spesso collaborano con noi sui temi della professionalità oltre che su quelli dell’inclusione e dell’autonomia e della democrazia nelle scuole che, sempre Galli Della Loggia sul Corriere, dileggia.

Nell’insulto al sindacato naturalmente scompare la storia del movimento dei lavoratori, che incrocia bisogni, vissuti, sofferenze, rivendicazioni di tutti, senza escludere nessuno, in un abbraccio straordinario tra operai e insegnanti, braccianti e docenti universitari, studenti e giovani lavoratori precari. Questa è la caratteristica fondamentale del sindacato confederale, la cui autorità deriva non solo dalla sua storia, ma soprattutto dalla Costituzione.

Questa è la saggia lettura che portò ad esempio la Cgil nel luglio del 1967, sull’onda delle proteste nelle scuole e nelle università, ad organizzare una federazione della scuola e per la scuola, che avrebbe incrociato tutte le altre categorie, perché, come spesso diceva uno dei primi segretari, “anche i figli dei braccianti e degli operai vanno a scuola, e nella scuola si emancipano”. 

Ci racconta Galli Della Loggia che in Francia, Germania e Inghilterra non esistono sindacati della scuola e da ciò farebbe dipendere la legittimazione di nuove forme di corporativismo anti sindacale. Il fatto è che la premessa è sbagliata. In tutta Europa, i sindacati dell’istruzione sono legati in una rete molto radicata e partecipata. Cito qui l’esperienza preziosa della Etuce, la European Trade Union Commitee for Education, che appunto ha lanciato la solidarietà delle organizzazioni sindacali europee dell’istruzione (comprese quelle di Francia, Germania e Inghilterra) ai colleghi italiani per lo sciopero dell’8 giugno. Rinviamo l’autore dell’editoriale sul Corriere della Sera a questo articolo comparso lo scorso 28 maggio.

Un’ultima osservazione. A me pare che l’attacco di quest’oggi abbia voluto colpire attraverso me l’intero sindacato confederale. Per carità, è legittimo criticare chiunque nel merito e nei contenuti delle posizioni espresse e l’organizzazione in cui milita da sempre e di cui è
dirigente. Ma lo si faccia con argomentazioni razionali, serie, efficaci e non con gli insulti. E l’insulto personale usato per attaccare un’organizzazione democratica è, permettetemi questa equazione, una prassi tipica di ideologie totalitarie. Allora, quando si colpisce con l’insulto si punta a colpire al cuore tutte le dinamiche democratiche dell’organizzazione, compresa la selezione del suo gruppo dirigente.
Paura della Cgil, e dell’intero sindacato confederale, unico soggetto politico rimasto in campo dopo la deflagrazione del sistema politico e rappresentativo di 13 milioni di iscritti? Credo proprio di sì. È la paura che muove la “chiacchiera da bar” contro i sindacati ed è la paura che spinge all’insulto piuttosto che alla lealtà delle argomentazioni.
Ma è anche la paura delle dinamiche proprie della democrazia costituzionale e delle libertà che la Carta ci concede. Non vorrei che prima o poi, una “chiacchiera da bar” dopo l’altra si arrivasse a negare del tutto la democrazia e la libertà sindacale.


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