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Sulla scuola cresce il fronte dell’ottimismo: «Le aule non sono centri di contagio. Il virus arriva da fuori»

Oggi la ministra Azzolina analizzerà i primi dati ufficiali insieme all’Istituto superiore di sanità Al momento i protocolli sanitari sembrerebbero limitare le catene di trasmissione

05/10/2020
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Felice Florio

Sul tavolo del Comitato tecnico scientifico sarebbero arrivati, finalmente, i primi dati sulla diffusione del Coronavirus nelle scuole. I numeri dell’indagine – prendendo per buone le parole della ministra Lucia Azzolina che parla di «monitoraggio costante», confermando l’esistenza di uno studio approfondito sulla situazione – non sono ancora pubblici. Lo diventeranno forse dopo la riunione prevista per oggi, lunedì 5 ottobre, tra la ministra e l’Istituto superiore di sanità. Finora è stato solo grazie al lavoro di Lorenzo Ruffino e Vittorio Nicoletta – che hanno creato un database per fotografare l’impatto che l’inizio dell’anno scolastico ha avuto sull’epidemia – se abbiamo un’idea del numero di contagi all’interno delle aule italiane.

La piattaforma, che raccoglie notizie di cronaca e fonti delle autorità locali, avendo registrato casi di positività in circa 1.150 scuole, è una base di partenza per capire il reale effetto delle riaperture sull’incremento di infezioni riscontrate negli ultimi giorni. «Considerando che in Italia ci sono circa 40mila plessi scolastici, il dato non mi sembra allarmante – afferma Manuela Calza, segretaria nazionale della Flc Cgil -. Le scuole con casi Covid possono sembrare tante, ma si tratta spesso di una sola positività in tutto l’istituto»

I contagi arrivano dall’esterno

Calza sostiene che trovare un solo caso positivo per classe «è la dimostrazione che nelle scuole non si creano dei veri e proprio focolai: le aule non sono centri di contagio, almeno per il momento. I casi individuati nelle scuole vengono portati da fuori». Anche Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi, non è preoccupato dai numeri, «cifra infinitamente piccola se rapportata alla popolazione studentesca pari a 8 milioni». Secondo le sue fonti, non esiste una casistica significativa di catene di trasmissione verificatesi in aula, «i contagi tra gli studenti si verificano in realtà all’esterno degli istituti».

Giannelli parla di una «tendenza a comportarsi con più disinvoltura fuori dalla scuola». Ed è chiaro che, per quanto i compagni di classe possano rispettare le norme di distanziamento durante le lezioni, nessuno vieta loro di ritrovarsi nel pomeriggio al parco, a casa di un amico e stare insieme senza mascherina. Daniele Grassucci, fondatore di Skuola.net, così come Calza e Giannelli, ritiene che la questione contagi tra gli alunni «dipenda dalle situazioni che si creano fuori dalle mura scolastica».

Prima e dopo la campanella

Se il protocollo viene rispettato rigidamente e le misure di igiene, distanza e mascherina sembrerebbero essere rispettate, «all’ingresso e all’uscita da scuola si verificano assembramenti pericolosi. I sistemi di trasporto non riescono a gestire la spalmatura degli orari». Dall’osservatorio gestito da Grassucci, emerge che un 20% degli studenti delle scuole secondarie, quest’anno, ha cambiato mezzo di trasporto per andare a scuola, «ma non è sufficiente: il vulnus – insiste – risiede nei comportamenti dei ragazzi. Non c’è più un lockdown, la vita sociale è ripresa e i giovani sono tornati a frequentarsi senza mascherina».

Ad ogni modo, l’analisi non può che essere empirica, visto che il ministero dell’Istruzione non ha pubblicato statistiche e casistiche sul fenomeno dei focolai scolastici. «Anche noi facciamo riferimento al database di Ruffino e Nicoletta – afferma Calza, amareggiata -. Fa specie pensare che due studenti siano stati più capaci di un intero ministero nella comunicazione dei dati relativi ai cluster nelle scuole». Tutti gli attori in causa aspettano i dati ufficiali del governo prima di sbilanciarsi con le previsioni, «ma di fronte a un aumento consistente dei contagi nel Paese è quasi scontato che anche nelle scuole ci sia un incremento di casi».

Mancanza di trasparenza e problemi di spazi

«Se i contagi aumentano in tutta Italia, è fisiologico che aumentino anche a scuola – ribadisce Giannelli -. Adesso serve uno studio serio e pubblico per capire se i protocolli di sicurezza sono utili a bloccare le catene di trasmissione nelle aule». Una volta avuta la certezza, l’attenzione tornerebbe a rivolgersi pienamente alla vita extrascolastica. «Non per fare polemica, ma sarebbe auspicabile che il ministero pubblicasse quanto prima i dati», chiosa Giannelli. Nonostante gli sforzi fatti dal ministero, però, non si possono nascondere le problematiche che non rendono sereni gli attori del mondo scolastico.

«È evidente che il numero di alunni per classe non è stato ridotto per mancanza di risorse in termini di organico e di spazi – interviene Calza -. Da un lato costituisce un fenomeno di rischio per il contagio, dall’altro è un fattore penalizzante perché, anche con un solo caso di positività, si costringono molti studenti e insegnanti a sottoporsi a quarantena». Il parere di Giannelli, in questo caso, è differente: «Sugli spazi credo che la situazione sia migliore rispetto a due mesi fa: con i soldi stanziati, gli enti locali hanno potuto affittare ulteriori ambienti». Anche in questo caso, però, manca la comunicazione ufficiale delle migliorie introdotte.

Banchi e gap di organico

La questione degli spazi, così come la mancanza di docenti e la consegna dei banchi singoli, sono strettamente correlate alla gestione dell’epidemia negli ambienti scolastici. Avere una panoramica dettagliata di quanto fatto, in tal senso, dal ministero, aiuterebbe a dissolvere le ombre sulla sicurezza delle scuole. «Ripeto, senza intenti polemici: rendiamo di pubblico dominio tutte queste informazioni sulla scuola». Per fare un inciso sulla questione dei banchi monoposto, entro fine ottobre dovrebbero essere consegnati i 2 milioni e 400mila banchi promessi da Arcuri, «se stanno rispettando le tabelle di marcia, dovrebbero essere a metà dell’opera».

E poi conclude con un appunto sull’organico: «Le graduatorie digitalizzate, anche se costituiscono un passo avanti notevole, al momento stanno dando dei problemi: numerosi presidi ci hanno segnalato delle carenze di organico». Anche per la Cgil gli organici sono insufficienti, «e i nuovi ingressi non bastano a sopperire il fenomeno delle cattedre scoperte – aggiunge Calza -. Questo comporta che gli insegnanti, costretti a ruotare tra più classi, entrino in contatto con più alunni: un rischio in tempi di Covid». Per la sindacalista, il ritardo nella nomina degli organici ha determinato che la scuola iniziasse a ranghi ridotti: «Questi ritardi sono ingiustificabili. Bisognava impegnarsi di più già dalla scorsa primavera».

La didattica a distanza

«Tutti questi problemi irrisolti portano a un rischio maggiore di chiudere le classi e costringere gli insegnanti a ricorrere alla didattica a distanza – conclude Calza -, con una ricaduta negativa sull’apprendimento: si è rivelata, durante il lockdown, una modalità di studio escludente per chi vive in un contesto famigliare svantaggiato». Sul tema è molto critico anche Grassucci: per l’esperto di scuola non si è fatto abbastanza per garantire la continuità di apprendimento nel caso di mini-lockdown scolastici. «Se c’è un positivo tra gli studenti, il protocollo impone la chiusura della classe o dell’intero istituto. Succederà con maggiore frequenza se i contagi continuano ad aumentare, come mai non si è pensato a un piano serio per la Dad?».

Se le scuole superiori sembrano più pronte a erogare gli insegnamenti a distanza, lo stesso non si può dire per le scuole elementari e medie, perché «sono gli stessi piani ministeriali a non aver preventivato la didattica a distanza nel caso di chiusure lampo delle aule». Questa impreparazione si traduce in giorni di apprendimento persi per gli alunni. «La didattica a distanza non è solo pc, tablet e piattaforma, ma metodologia, formazione dei docenti, policy della privacy: un mondo complesso per cui, nel mese di massa a disposizione di luglio, bisogna prevedere un programma di formazione per il corpo docenti».


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