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Sul piatto 1,5 miliardi per i dottorati green, digital e innovativi

Una doppia scommessa. È quella rappresentata dal programma (micro) di rilancio dei dottorati nell’ambito del piano (macro) di sostegno dell’intera missione “Istruzione e ricerca” contenuta nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)

23/06/2021
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Il Sole 24 Ore

Eugenio Bruno

Una doppia scommessa. È quella rappresentata dal programma (micro) di rilancio dei dottorati nell’ambito del piano (macro) di sostegno dell’intera missione “Istruzione e ricerca” contenuta nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Micro non certo per i fondi, visto che in ballo ci sono 1,5 miliardi da qui al 2026 con cui la ministra dell’Università, Cristina Messa, spera di bloccare la caduta libera dei Phd in Italia: -30% di diplomati nell’ultimo decennio (su cui si veda Il Sole 24Ore di Lunedì 11 maggio).

Il ritardo italiano

La crisi vocazionale dei nostri dottorandi non è nuova. A ricordarlo è lo stesso Piano di ripresa e resilienza quando sottolinea che «il numero di dottorati conferiti in Italia è tra i più bassi tra i paesi Ue, ed è in costante calo negli ultimi anni (-40 per cento tra il 2008 e il 2019)». Una diminuzione intercettata anche dalle statistiche del ministero dell’Università (Mur). Negli ultimi 10 anni, infatti, risultano in discesa sia gli iscritti ai corsi di dottorato (dai 39.281 dell’anno accademico 2009/10 si è arrivati ai 29.651 del 2019/20, con una frenata del 24,5%), sia i diplomati (dai 10.461 del 2009 si è passati ai 7.989 del 2019, -30,9%). Risultato: «Ogni anno in Italia - si legge nel Pnrr - solo una persona su 1.000 nella fascia di età 25-34 completa un programma di dottorato, contro una media Ue di 1,5 (2,1 in Germania)». Con il paradosso ulteriore che, annualmente, vediamo emigrare il 20% dei Phd che formiamo.

La strategia di rilancio

A penalizzare i dottorandi italiani rispetto ai loro colleghi stranieri c’è anche la bassa attitudine del mercato del lavoro, soprattutto privato, ad assorbirli. Per invertire la rotta il Recovery mette sul piatto 1,51 miliardi. Da utilizzare per accompagnare una riforma che arriverà per decreto ministeriale entro il 2021 e che scommetterà sulla semplificazione delle procedure per il coinvolgimento di imprese e centri di ricerca. Nell’ottica - e il Pnrr lo dice espressamente - di costruire «percorsi di dottorato non finalizzati alla carriera accademica».

Passando alla destinazione dei fondi, i primi 430 milioni serviranno a estendere la diffusione dei dottorati innovativi nella Pa e nei beni culturali. Tant’è che il Mur conta di attivare 3.000 borse di dottorato in tre cicli a partire dal 2021 sul primo fronte e altre 600 sul secondo.

Più ingente (600 milioni) la fetta di risorse che il Pnrr vuole investire sui dottorati innovativi, che rispondono ai fabbisogni segnalati dal mondo imprenditoriale. In ballo ci sono infatti 5mila borsisti per 3 anni, con il cofinanziamento privato e l’incentivo ulteriore all'assunzione di 20mila assegnisti di ricerca o ricercatori da parte delle imprese.

Completano il quadro i 480 milioni del React-Eu per dottori di ricerca green e digital. Con la consapevolezza che la transizione ecologica e digitale del paese passa anche dalle loro scoperte e dal loro lavoro.