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Studenti in piazza per il clima, dietro gli slogan una domanda a noi adulti

Ieri i giovani sono scesi in piazza per la salvaguardia dell’ambiente. Quale appello, al di là delle loro intenzioni esplicitamente formulate, rivolgono ai loro educatori?

16/03/2019
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Il Sussidiario.net

Elisabetta Valcamonica

È un Friday for Future quello che è appena passato anche per le vie delle città d’Italia, tra manifestazioni più o meno colorate di giovani che, abbandonate per un giorno le aule delle istituzioni scolastiche, si sono riversati nelle piazze a manifestare la loro preoccupazione per la salvaguardia del pianeta.

Sensibile alle problematiche ambientali e già da tempo nota per questo nel suo paese, la giovane attivista svedese da cui ha origine il movimento studentesco, Greta Thunberg, ha partecipato alla 24esima Conferenza mondiale sul clima del dicembre del 2018 pronunciando davanti ai leader mondiali un discorso che ha poi mobilitato (grazie e attraverso l’amplificazione dei social) i giovani di tutto il mondo.

Mentre leggo qualche articolo di giornale qua e là su questa iniziativa, mentre trovo entusiasmi e anche qualche polemica, riaffiora in me il testo di una verifica di geografia che qualche anno fa ho sottoposto ai miei studenti, dopo aver affrontato in classe le questioni legate all’inquinamento e al riscaldamento globale: disegnare la locandina per l’Earth Day, una delle più grandi manifestazioni ambientali del pianeta, che si svolge di consuetudine il 22 aprile di ogni anno. Ne ricordo nitidamente uno: la Terra sorridente con in testa una corona sorretta da due mani aperte come ad accogliere, a raccogliere, a proteggere il nostro pianeta. Non so se l’alunno che lo ha prodotto – ormai alle scuole superiori – abbia partecipato o meno alla manifestazione di ieri, ma in quel volantino vedo la stessa spinta propulsiva che al di là di tutto da questo sciopero proviene.

Diciamo che la parte scenica, oggi, si è compiuta. Globale, necessaria, in grande stile. Strumentalizzata, dice qualcuno. In questa sede non importa, in fondo, perché l’appello di quelle aule vuote lasciate dagli studenti che in piazza sono scesi è, al di là di tutto, un appello agli adulti che stanno con loro tutti i giorni tra i banchi di scuola, non solo a quelli che governano e hanno il potere di decidere politiche globali in larga scala.

A noi, genitori e insegnanti, tocca rispondere a quel grido di futuro che l’hastag con cui è stata lanciata la manifestazione porta con sé, dando strumenti per andare oltre gli slogan ora che le piazze si sono svuotate e gli studenti sono tornati alle loro case. Tocca a noi, con piccoli gesti quotidiani, mostrare loro quale contributo nel nostro piccolo possiamo dare per il rispetto dell’ambiente e la sua cura quotidiana. È compito nostro promuovere la custodia di qualcosa che ci è dato, aprire gli occhi alle connessioni che i ritmi delle stagioni hanno con la vita tutta dell’uomo, indicare esempi virtuosi di un equilibrato e giusto rapporto con ciò che esiste attorno a noi e per noi.

È un compito arduo, lungo, continuo, per cui non bastano linee guida o progetti mirati, pur utili e interessanti. Quello che è accaduto il 15 marzo nel mondo io penso ci chieda il ritorno ai punti essenziali di ciò che rende “scuola” la scuola: è un appello all’educazione, così com’è, senza tutti quegli aggettivi con cui ho l’impressione talvolta si rischi di parcellizzare e ridurre l’azione di un uomo che ha il compito e la responsabilità di far crescere e donare il futuro ai bambini e ai ragazzi che gli sono affidati


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