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Sostegno, prchè mancano i posti

Le difficoltà di avvio del nuovo anno scolastico, soprattutto per posti non coperti e supplenti da nominare, hanno interessato particolarmente i posti di sostegno

03/10/2016
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Tuttoscuola

Sostegno/1: perché mancano i posti?

Le difficoltà di avvio del nuovo anno scolastico, soprattutto per posti non coperti e supplenti da nominare, hanno interessato particolarmente i posti di sostegno.

Quali sono le ragioni per questa situazione che spesso penalizza quei ragazzi che, più di altri, hanno bisogno e diritto di avere un supporto di sostegno educativo sicuro e continuativo?

C’è una prima ragione, di natura strutturale, che riguarda la tipologia dei posti.

A differenza di tutte le altre classi di concorso, il sostegno prevede, per legge, che oltre ai posti stabili ve ne siano altri in deroga, definiti di anno in anno, assegnati, per legge, a docenti non di ruolo con contratto di lavoro a tempo determinato fino al 30 giugno.

Attualmente i posti stabili sono 96.480 e quelli in deroga 28.092 (rapporto di 1 a 3,4). Questo significa che, in un rapporto medio di un docente di sostegno ogni due alunni disabili, circa 56 mila alunni non si avvalgono tuttora del docente di sostegno che li seguirà tutto l’anno, perché le nomine dei docenti in deroga sono ancora da effettuare. Se va bene, al posto di quel docente, c’è un supplente temporaneo nominato fino all’arrivo dell’avente titolo.

Una seconda ragione, di natura contingente, riguarda le nomine in ruolo derivanti dal concorso in atto e dalle GAE.

Il concorso ha messo in palio 6.100 posti di sostegno da assegnare nel triennio. Non sono pochi, ma le relative graduatorie di merito sono state approvate in tempo utile per le nomine 2016-17 soltanto in parte: esattamente 45 su 72, pari a quasi due terzi.

Le GAE non sono state molto di aiuto per compensare gli inevitabili vuoti, in quanto, a loro volta, hanno spesso un numero di iscritti inferiore al fabbisogno.

Pertanto, circa 3 mila posti di sostegno in organico di diritto non potranno essere coperti da docenti di ruolo. Altri 6 mila alunni disabili dovranno, quindi, attendere che per loro vengano nominati docenti con contratto annuale a tempo determinato.

C’è, infine, un’ulteriore causa connessa alla straordinaria mobilità dei docenti attuata quest’anno. Vi sono docenti di ruolo su posti di sostegno che attendono l’assegnazione provvisoria verso casa loro e, in attesa della imminente chiamata, si sono messi in malattia o in permesso per la 104. Sono probabilmente pochi, ma concorrono a rendere pesante, per il momento, la situazione dei sostegni.

 


5. Sostegno/2: quella non continuità didattica che fa male ai disabili

La continuità didattica, prima ancora di essere una opportunità per tutti gli alunni, è spesso una necessità per molti di loro con disabilità (si pensi, ad esempio, ai ragazzi affetti da autismo).

Però il nostro sistema non è organizzato per tutelare la continuità didattica per gli alunni disabili.

Non si può dire che, sotto l’aspetto quantitativo, il sistema scolastico italiano non abbia cercato di rispondere con rinforzi di organico alla crescente domanda di sostegno a favore di alunni con disabilità. Ma per quanto riguarda la continuità didattica…

Il numero dei posti di sostegno è aumentato di quasi il 90% negli ultimi quindici anni, mentre il numero degli alunni disabili inseriti aumentava dell’85%. Attenzione alla quantità, dunque, ma minor preoccupazione per la qualità.

Infatti l’attuale situazione non è funzionale alla continuità didattica. Ecco perché.

La continuità didattica a favore degli alunni disabili dipende soprattutto dalla stabilità del personale docente, ma non viene certamente dai 28 mila docenti non di ruolo nominati sui posti di sostegno in deroga.

Sui posti in deroga non c’è previsione di conferma dei docenti nominati l’anno precedente, perché vengono prima di tutto i diritti di graduatoria: a chi tocca tocca.

La continuità didattica è del tutto casuale. E ogni anno, sui posti in deroga, c’è quasi sempre casualità, non continuità.

Ma anche sui posti fissi occupati da docenti di ruolo che dovrebbero assicurare la continuità didattica incombe concretamente ogni anno una riserva che mette in forse la stabilità.

I docenti di sostegno hanno l’obbligo quinquennale di permanenza nel ruolo, ma questo non significa vincolo di permanenza nella stessa scuola e nella stessa classe. Possono trasferirsi in altra scuola, purché restino su posto di sostegno.

Prima l’interesse dei docenti, dunque, poi il diritto degli alunni disabili alla continuità.

 


6. Sostegno/3: proposte per la stabilizzazione dell’integrazione

Il primo intervento per creare una condizione di stabilità nel sistema dell’integrazione è quello di arrivare al superamento dei posti in deroga.

Secondo le norme attuali, la deroga ha una valenza annuale, da attuare, proprio per questo, in dipendenza delle possibili variazioni del numero degli alunni disabili inseriti.

Ma da anni i posti in deroga sono diventati una costante, confermata senza variazioni sostanziali.

Il sistema della deroga è, quindi, fermo. Non proponiamo di superarlo tutto di un colpo, ma con gradualità, andando a convertire in organico di diritto i posti di sostegno in deroga.

C’è da superare la contrarietà del Ministero dell’economia, soprattutto per i costi aggiuntivi dei due mesi estivi oggi non retribuiti a favore dei docenti con contratto a tempo determinato fino al 30 giugno.

Si tratta di un costo complessivo da mettere in conto per una buona scuola a favore dei più deboli.

Per evitare il rischio che il posto già in deroga si stabilizzi in una scuola dove vengono a mancare le presenze di alunni disabili, una quota potrebbe essere assegnata ad una scuola caporete ed essere distribuita sul territorio secondo il fabbisogno.

Tra stabilizzazione diffusa e utilizzo della task force dei docenti di sostegno potrebbe essere assicurata al meglio la continuità didattica oggi compromessa.

Quanto poi all’obbligo di permanenza quinquennale nel sostegno, la norma contrattuale potrebbe (o dovrebbe) essere riportata alle sue valenze originali, prevedendo che l’insegnante resti nella scuola di titolarità per l’intero quinquennio o, quanto meno, per l’intera durata della presenza dell’alunno (o degli alunni) che sta seguendo. 

 


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