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Soro boccia i controlli biometrici

Il garante della privacy bacchetta il governo per il ddl concretezza: viola le norme Ue

12/02/2019
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ItaliaOggi

MArco Nobilio

Antonello Soro

Il decreto concretezza andrebbe riformulato evitandone «non solo l'intrinseca contraddittorietà ma anche e soprattutto l'incompatibilità con la disciplina europea». È una bocciatura senza appello quella formulata dal presidente dell'autorità garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro. Che l'ha pronunciata nel corso dell'audizione che si è tenuta il 6 febbraio scorso presso le commissioni riunite I (affari costituzionali) e XI (lavoro) della camera dei deputati nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 1433. Citando la normativa e la giurisprudenza europea, il garante ha detto che il decreto concretezza (si veda ItaliaOggi di martedì scorso), nell'attuale stesura, viola il principio di proporzionalità. Perché impone l'utilizzo cumulativo dei rilievi biometrici e delle telecamere per accertare il rispetto dell'orario di lavoro in tutte le amministrazioni, senza prevedere misure alternative meno invasive.

Secondo il garante, l'introduzione sistematica, generalizzata e indifferenziata per tutte le pubbliche amministrazioni di sistemi di rilevazione biometrica delle presenze non può ritenersi in alcun modo conforme al canone di proporzionalità in ragione dei vincoli posti dall'ordinamento europeo per l'invasività di tali forme di verifica e le implicazioni proprie della particolare natura del dato.

Soro ha spiegato che il requisito del rispetto dei principi di proporzionalità e minimizzazione, previsto dal disegno di legge, avrebbe una portata normativa effettiva solo laddove si intendesse la norma come volta a prevedere due situazioni. La prima è l'alternatività del ricorso alla biometria o alla videosorveglianza. Ma il disegno di legge è chiaro nel configurare invece tali sistemi come cumulativi, il che di per sé contrasta con il canone di necessità e proporzionalità. La seconda è l'introduzione di tali nuovi sistemi di rilevazione non come obbligatoria, ma ammessa al ricorrere di particolari esigenze e laddove altri sistemi di rilevazione delle presenze non risultino idonei rispetto agli scopi perseguiti.

A fronte di questi rilievi il garante ha spiegato che sarebbe opportuno modificare il testo del disegno di legge prevedendo espressamente l'alternatività del ricorso alla rilevazione biometrica e alle videoriprese. E in più bisognerebbe prevedere l'ammissibilità della rilevazione biometrica solo in presenza di fattori di rischio specifici oppure di particolari presupposti quali, per esempio, le dimensioni dell'ente, il numero dei dipendenti coinvolti, la ricorrenza di situazioni di criticità che potrebbero essere anche influenzate dal contesto ambientale.

Si fa presente, inoltre, che i licenziamenti disciplinari seguiti all'accertamento in flagranza di falsa attestazione della presenza in servizio nell'ultimo anno e in tutta la pubblica amministrazione (nella quale lavorano 3 milioni e 200 mila dipendenti pubblici) sono stati solo 89, metà dei quali sono stati definiti con un altro tipo di provvedimento e in alcuni casi anche per mutata contestazione. Pertanto, dalle statistiche non emerge che la diffusione del fenomeno che si intende contrastare sia sistematica e generalizzata.

Alle considerazioni del garante va anche aggiunto che l'ordinamento prevede in questi casi, oltre che il licenziamento disciplinare, anche una grave responsabilità penale. La falsa attestazione della presenza in servizio, infatti, è punita con la reclusione da uno a 5 anni: una pena più grave di quella prevista dall'omicidio colposo (da 6 mesi a 5 anni). Si tratta, dunque, di sanzioni particolarmente afflittive che, di per sé, dovrebbero essere sufficienti a costituire un forte deterrente tale da scoraggiare comportamenti illeciti di questa portata.

È ragionevole ritenere, inoltre, che anche l'impegno finanziario previsto dal governo ai fini della copertura delle spese derivanti dall'attuazione del disegno di legge (35 milioni di euro) possa risultare eccessivo rispetto all'entità del fenomeno. Fatto questo che è stato fatto rilevare a suo tempo da alcune organizzazioni sindacali nel corso delle audizioni che si sono tenute precedentemente, sempre durante l'esame del provvedimento.

Resta il fatto, però che l'adozione di controlli rigorosi per verificare la presenza in servizio, nella scuola, potrebbe essere utile per far cessare il fenomeno del lavoro sommerso non retribuito. L'assenza di controlli, infatti, ha fatto sì che si radicasse la prassi deteriore, secondo la quale, a fronte di un numero di ore di insegnamento tassativo inderogabile, il monte ore delle attività funzionali all'insegnamento di natura collegiale (anch'esso tassativo secondo il contratto) potesse essere superato omettendo, pacificamente, di corrispondere la retribuzione aggiuntiva maturata dai docenti. Che anche a causa della difficoltà di dimostrare lo sforamento dell'orario ordinario, si rassegnano a lavorare di più rinunciando alla retribuzione. Fatto, questo, che viola il principio costituzionale della giusta retribuzione e che è sanzionato con l'invalidità dall'articolo 2113 del codice civile.


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