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Sinopoli (FLC CGIL): “Il governo aumenti il deficit, ma investa sugli stipendi della scuola”

Intervista

04/12/2018
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La Tecnica della Scuola

Dottor Sinopoli, la categoria è sempre più precarizzata. Molti docenti coi requisiti per la stabilizzazione si ritrovano ancora a tempo determinato dopo decenni di servizio. Secondo lei è lecito sospettare che si voglia precarizzare la categoria per indebolirla sindacalmente?

Lettura corretta, purtroppo. Negli ultimi 30 anni non solo la Scuola, ma tutto il mondo del lavoro è stato precarizzato, con la finalità di indebolirlo. Bisogna tornare alla politica degli anni ’60: riformare la Scuola per applicare la Costituzione migliorando la società. Bisogna tornare a investire nella Scuola, nelle professionalità, nei salari, e parlare di didattica; aumentare la qualità e tornare a parlare dei bisogni della Scuola e del Paese.

Nella conferenza stampa avete accennato al vecchio istituto del “doppio canale”. Pensate vi si possa tornare?

Noi abbiamo fatto riferimento a un sistema che ci pare il più semplice e il più logico. Abbiamo guardato anche all’esperienza del passato, ma soprattutto abbiamo pensato al futuro, scegliendo la soluzione che garantisca alla Scuola nel minor tempo possibile la maggiore stabilità. Certo, urge anche un reclutamento ordinario, ciclico, in cui la formazione sia importante, in ingresso e durante l’attività lavorativa. Ciò vale per chi insegna, per i collaboratori, per il personale delle segreterie.

Lei ha parlato di grande distanza tra gli stipendi della Scuola italiana e la media europea. Però questi stipendi ricadono sotto il vincolo del Decreto Legislativo 29/1993 che, avendo messo la Scuola nel Pubblico Impiego, assoggetta gli stipendi all’inflazione programmata. Che ne pensa?

Le cose non stanno così. Non c’è nessun vincolo determinato dall’inflazione programmata. Non c’è un vincolo predeterminato agli aumenti salariali. Il punto è che le leggi di stabilità stabiliscono quanti soldi ci sono, e ciò naturalmente condiziona qualunque trattativa; ma soprattutto veniamo da un decennio senza rinnovo dei contratti. Ora come minimo bisogna coprire l’inflazione e garantire il potere d’acquisto; poi investire sul valore del lavoro.

Quindi bisogna solo contrattare di volta in volta?

Sì, non c’è un vincolo predeterminato. Non è che noi non possiamo chiedere. Semmai, dopo anni in cui non si rinnovavano i contratti, nell’accordo che facemmo col precedente Governo, di fronte a una situazione sfavorevole (conseguente ad anni di blocco), abbiamo concordato che ci fossero i famosi 85 euro medi; ma adesso non c’è più quel vincolo. Il contratto in una stagione straordinaria lo abbiamo rinnovato. Siamo tornati quindi teoricamente nelle condizioni utili, e per questo ci aspettiamo che a gennaio riparta la stagione contrattuale — dopo la sentenza della Corte Costituzionale secondo cui non si possono bloccare i contratti del Pubblico Impiego — per negoziare valorizzazione e riconoscimento della professionalità di chi lavora, e del tempo reale di lavoro: un tempo lungo, che va riconosciuto e pagato. Infatti si lavora molto di più di quanto si dica nella Scuola (a dispetto della solita retorica per cui nella Scuola non si lavorerebbe), e purtroppo in condizioni difficili, facendosi carico di sempre maggiori responsabilità, che la società scarica sulla Scuola stessa.

Allora è solo questione di volontà politica?

È sempre stata solo questione di volontà politica. Inoltre il datore di lavoro è pubblico, e decide con le leggi di stabilità quanto vale x e quanto vale z. L’ho detto anche in conferenza stampa: l’aumento della spesa in deficit non è il problema, perché lo Stato non si deve comportare come un buon padre di famiglia. Sono due cose diverse. La spesa pubblica è fondamentale per far crescere l’economia. Semmai viviamo in un contesto di vincoli (determinati dalla storia delle istituzioni economiche europee), che ha penalizzato le possibilità di sviluppo di tanti Paesi, tra cui il nostro. Però dev’esser centrale, nell’aumento della spesa, quella per investimenti. Se devi sostenere l’aumento della domanda aggregata, è meglio puntare sui salari: concetto semplice, che ci pare anche scontato. La nostra rivendicazione a questo Governo è: aumentate la spesa in deficit, ma puntate sugli investimenti, sui salari, sulle infrastrutture della conoscenza. La quale certo è un vero driver di crescita e sviluppo, nonché di creazione di cittadinanza consapevole, su cui dovremmo puntare. Ovviamente siamo preoccupati per l’attacco ai luoghi dell’integrazione (che caratterizza le politiche di questo Governo), tra cui la Scuola. Non dimentichiamoci i fatti di Monfalcone. Adesso torna la discussione sui crocifissi. La Scuola è già integrazione. Funziona. Pare che qualcuno voglia invece proprio metterla in crisi, e ciò è vergognoso.


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