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Serve una riflessione etica sulla tecno-scienza

La clonazione di animali

30/01/2018
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Corriere della sera

Mauro Magatti

L a clonazione della scimmia ha fatto scalpore. Suscitando un dibattito che si è subito polarizzato tra i difensori della libertà di ricerca e chi invece invoca una regolamentazione sulla base di considerazioni etiche.

A ben guardare, tale discussione lascia insoddisfatti. Da un lato, perché i difensori della scienza, forti dei successi ottenuti nei secoli, chiedono di «avere fede» nei confronti di un processo del quale nessuno in realtà conosce lo sbocco. Dall’altro, perché, nel mondo in cui viviamo, l’appello a norme etiche elaborate nell’alveo della cultura cristiana-occidentale suonano insufficienti, o inutilmente restrittive, rispetto alle questioni da affrontare. Finendo così, inevitabilmente, per cadere nel vuoto. Il problema però rimane. Non c’è solo la questione della clonazione e delle biotecnologie in grado di agire su dimensioni sempre più intime della vita. Robot capaci di sostituire grandi quantità di lavoro; intelligenza artificiale che supera in alcuni campi le stesse capacità umane; big data e algoritmi che rendono possibili nuove forme di governo e gestione dei processi sociali. La portata dei cambiamenti indotti dallo sviluppo tecno-scientifico ci costringe a porci nuove domande. Almeno su due aspetti.

Il primo è che oggi la distinzione classica tra scienza e tecnica — la prima interessata alla conoscenza e la seconda focalizzata sui risvolti applicativi — diventa sempre più sfuocata. Si pensi al caso delle scimmie clonate: come ha dichiarato il direttore dell’Istituto di Neuroscienze dell’Accademia Cinese delle Scienze di Shanghai nell’annunciare il risultato ottenuto, «il successo si deve alla combinazione di nuove tecniche microscopiche per osservare lo sviluppo delle cellule e di nuovi composti per incoraggiare la riprogrammazione cellulare». La «riprogrammazione cellulare» è un’azione che possiamo rubricare nell’ambito scientifico o tecnico? In realtà, questa domanda permette di capire che quando parliamo di scienza oggi abbiamo a che fare con un reticolo planetario di centri di ricerca, pubblici e privati, che lavorano su progetti sostenuti da ingenti finanziamenti. Ovviamente, quanto più ci si sposta sul versante scientifico, tanto più gli orizzonti sono aperti e i risultati incerti. Ma ciò non significa indeterminati. Sia perché c’è sempre un interesse (economico o politico) più o meno implicitamente coinvolto; sia perché la stessa scienza non può che prodursi all’interno di quella infrastruttura tecnica globale che rende possibile (orienta?) la stessa ricerca di base. Oggi, molto concretamente, possiamo vedere l’ambivalenza tra scienza e potere nelle implicazioni di alcuni degli sviluppi scientifici più avanzati. Ma in fondo non era tutto ciò già ben riconoscibile nel programma originario della scienza moderna, riassunto dal motto baconiano «sapere è potere»?

Il secondo aspetto riguarda invece il successo planetario della scienza, ormai patrimonio dell’intera umanità. Sul Corriere , Boncinelli osservava che anche i prossimi passi in tema di clonazione saranno probabilmente realizzati da scienziati di altre parti del mondo. La scienza non è più monopolio dell’occidente. Negli ultimi decenni anche altre tradizioni culturali hanno acquisito la stessa metodologia e sono diventate capaci di fare da sole. Ma un tale passaggio è tutt’altro che innocente. Con tutta la sua neutralità, la scienza è pur tuttavia nata nell’alveo di un occidente imbevuto dei valori di un umanesimo che poneva l’uomo al centro. Anche se in forma conflittuale, tale inculturazione ha implicitamente permesso alla scienza di avanzare senza dimenticare i suoi presupposti e la sua destinazione antropologici. Ma nulla ci può garantire che tutto ciò si verifichi anche in futuro, nel momento in cui vi sono altri universi culturali a utilizzare questo modo di guardare e manipolare la realtà. Abbiamo almeno due problemi: come evitare che, più o meno surrettiziamente, la scienza venga assoggettata al sistema tecnico; come tenere insieme scienza e umanesimo nell’era della globalizzazione.

Per questo, dire, da un lato, che il limite della scienza è la scienza stessa suona oggi insufficiente. Dobbiamo tornare a chiederci quali sono i limiti che, come umani, riteniamo di non potere o volere oltrepassare. Abbiamo cioè bisogno di aprire una riflessione etica nell’era della società tecnica. Ma non è sufficiente appellarsi a una qualche autorità. Abbiamo bisogno di argomenti e di forme di governance adeguate. Invece che limitarsi a polemizzare, le diverse componenti della tradizione occidentale potrebbero trovare un compito comune: nel momento in cui la tecno-scienza diventa infrastruttura planetaria, cosa vuole dire e come fare per salvaguardare il valore della persona umana?


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