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Sempre meno posti letto, sempre meno borse di studio. E l’Università italiana è sempre più roba da ricchi

Molti giovani abbandonano o rinunciano agli studi universitari, così il numero di laureati in Italia risulta tra i più bassi in Europa. Colpa di un sistema carente e mal gestito, sia per la penuria di alloggi negli studentati, sia per le difficoltà di accesso agli aiuti economici

24/10/2019
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da LINKIESTA.it

Stesso copione, come ogni anno: migliaia di giovani resteranno senza un posto letto, anche dopo essere risultati idonei per reddito e merito. Succede nelle grandi città, dove si concentra il maggior numero di studenti fuori sede – Roma, Milano, Torino – anche se la carenza del sistema del diritto allo studio italiano coinvolge un po’ tutte le Regioni da Nord a Sud. Come denuncia il coordinamento universitario Link sono 17mila gli studenti che non potranno accedere al posto letto negli studentati pur avendone diritto. A questo dato – ancora parziale – si aggiungono altri 7,5mila ragazzi e ragazze rimasti esclusi dallo scorso anno accademico. Un numero destinato ad aumentare considerando che ogni anno le risorse destinate a finanziare il sistema del diritto allo studio – che consiste in un insieme di strumenti e di servizi che lo Stato, con le Regioni e gli stessi atenei devono potere garantire a chi intende iscriversi a un corso universitario, ma proviene da una famiglia con un reddito basso o indigente – restano pressoché invariate.

Già nella scorsa legge di Bilancio sono venute meno il promesso innalzamento della no tax area – resta così ferma la soglia di 13mila euro per ottenere l’esenzione dalle tasse universitarie, anche se alcuni atenei hanno in autonomia deciso di estenderla – e le risorse necessarie per le borse di studio e, soprattutto, per il potenziamento degli alloggi universitari. Con un taglio di circa 30 milioni di euro, l’Italia prosegue con politiche che, invece di sostenere l’Università, continuano a sottrarre finanziamenti pubblici. Proprio su questo fronte, a differenza degli altri Stati europei, l’Italia è profondamente indietro. È noto che rispetto alla Germania, alla Francia, alla Spagna e alla Svezia, nel nostro Paese s’investono solo circa 7 miliardi di euro nell’Università, contro i 28,7 miliardi di euro della Germania o i 23,7 della Francia.

Quello degli alloggi resta un problema che grava sui giovani, sui loro diritti e, soprattutto, sulle famiglie, spesso costrette a fare sacrifici per mandare i propri figli all’Università. I posti letto negli studentati – strutture offerte dagli enti convenzionati con gli uffici regionali per il diritto allo studio, collegi e residenze universitarie – continuano a coprire solo l’8,6 per cento della domanda di fuori sede ed è su tale carenza che si concentra per ora la protesta degli studenti. Se è vero che «mancano edifici, da anni denunciamo questo deficit strutturale, proponendo sia a livello nazionale sia nelle singole città che nelle Regioni delle soluzioni: la ristrutturazione di beni pubblici dismessi o il riutilizzo di beni confiscati alle mafie», afferma Camilla Guarino, coordinatrice di Link, c’è anche una mala gestione delle proprietà immobiliari che almeno sulla carta sono indicate come studentati: «Ci sono edifici che finiscono per essere destinati ad altri usi o a cui servirebbero inteventi strutturali, e che non vengono mai aperti», afferma Tito Russo della FlcCgil.

«Così la fetta di studenti esclusa è costretta a rivolgersi al mercato privato che, nonostante le cedolari secche, hanno dei costi che si aggirano tra le 400 e i 500 euro al mese per una stanza. Oggi Bologna e Milano sono città in cui è difficilissimo affittare casa, non solo per l’eccedenza di studenti fuori sede, ma anche perché il mercato immobiliare è oramai saturo. Molti studenti poi sono costretti ad abitare lontani dall’ateneo, ad affrontare i costi del trasporto non agevolato: insomma c’è una catena di mancati interventi e politiche che al momento non trovano risposta nella legge di Stabilità».

Come racconta Guarino ogni anno è sempre la stessa storia. Davanti alle proteste e ai presidi degli studenti, i tentativi di rimediare sono blandi e insufficienti. A Roma, per esempio, l’anno scorso i posti letto sono aumentati, certo, ma di 100 unità, lasciando scoperti ancora una volta circa 5mila ragazzi risultati idonei per il posto letto. Ma non mancano denunce anche su come vengono gestite le risorse delle borse di studio, «erogate sempre in ritardo rispetto alle esigenze degli studenti», chiarisce Guarino. «Il fondo integrativo statale, che serve a finanziare il diritto allo studio, ammonta a 246 milioni di euro. Sempre più spesso non si riesce a garantire la copertura integrale delle borse». E così le Università chiedono ad altri studenti di pagare una tassa per sostenere il diritto allo studio.

Rispetto all’Europa, l’Italia si conferma distante dagli altri Paesi europei sia per tassazione sia per il sostegno agli studi universitari. Secondo la Commissione europea – in base all’ultimo Rapporto Eurydice 2018/2019 – nel nostro Paese c’è un’elevata percentuale di studenti che paga le tasse universitarie – la media è una delle più alte in Europa, 1345 euro all’anno con punte di 3000 euro, contro una media tra i 100 e i 300 euro della Francia – e un basso numero di beneficiari di borse di studio. Se, quindi, circa l’87 per cento degli studenti paga per intero il corso universitario, la fetta di giovani che riesce ad accedere al sistema del diritto allo studio è di appena il 12 per cento. Una percentuale distante anni luce dalla Finlandia (con il 68 per cento) dalla Francia (con il 33 per cento) o dalla Spagna (con il 28 per cento di beneficiari).

Una situazione che mette a rischio il diritto di accesso all’Università e che non garantisce di certo una pari opportunità. L’elevata tassazione e la scarsità delle risorse destinate al sistema del diritto allo studio hanno contribuito a portare l’Italia ad avere la percentuale più bassa di laureati, il 26,5 per cento contro il 51,1 per cento della Svezia, il 44 della Germania e il 34 della Francia. Per questo, ribadisce Tito Russo, alcuni meccanismi come il potenziamento della no tax area disatteso dal precedente governo – per circa un miliardo di euro – o il superamento, viste le già irrisorie risorse a disposizione, del meccanismo “premiale” sul fondo di finanziamento ordinario, che appunto premia i cosiddetti grandi poli di eccellenza sulla base di un algoritmo molto complicato – su 70 Università sei o sette prendono la fetta più grande di soldi pubblici ogni anno – potrebbero servire ad appianare le forti disparità tra gli atenei italiani. Un primo e importante segnale positivo da dare alle migliaia di studenti italiani su cui continuano a pesare precarietà, povertà e disuguaglianza.


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