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Sei politico: semmai una bocciatura rinviata di un anno

La proposta: a giugno nessun bocciato ma l’anno prossimo tre prove capestro per i promossi con debito . Se non passano i test, a settembre 2021 ripeteranno la stessa classe

03/04/2020
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Corriere della sera

di Marco Ricucci*

La scuola è chiusa, ma l’ultima campanella non è ancora suonata e le vacanze sono una mera chimera per milioni di studenti. Ma la domanda sulla bocca di tutti, costretti davanti a un computer con la didattica a distanza, è più che legittima: «E che succederà a giugno?». Bocciati, rimandati, promossi: la potenziale sorte delle allieve e degli allievi, in particolare alla scuola superiore, era chiara; essa ha ancora una valenza altamente educativa e non è fortunatamente la mera formalizzazione di un percorso di apprendimento, basato su voti numerici. La DAD, l’ennesimo acronimo che arricchisce il vasto campionario della scuola italiana, pone serie sfide non solo per le inconsuete modalità di svolgimento delle lezioni cui gran parte delle istituzioni e moltissimi docenti non erano adeguatamente pronti, ma anche per lo stesso modo di «dare i voti». Il Ministero dell’Istruzione si è prodigato nel distribuire, nell’emergenza, milioni di euro per superare il gap digitale e tecnologico, mentre ha diramato una serie di circolari per spiegare che cosa abbia in mente di fare.

La circolare (in latino) di Max Bruschi

Leggiamo, ad esempio, nella circolare datata 17 marzo 2020, a firma del dottor Max Bruschi, Capo del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione: «Le forme, le metodologie e gli strumenti per procedere alla valutazione in itinere degli apprendimenti, propedeutica alla valutazione finale, rientrano nella competenza di ciascun insegnante e hanno riferimento i criteri approvati dal Collegio dei Docenti. La riflessione sul processo formativo compiuto nel corso dell’attuale periodo di sospensione dell’attività didattica in presenza sarà come di consueto condivisa dall’intero Consiglio di Classe». Oltrepassando il gergo burocratese, significa che ogni scuola fa da sé? La circolare menzionata si chiude con una sentenza in latino di Publio Siro: «Ibi semper est victoria, ubi concordia est», che tradotta: «Lì ci sarà sempre la vittoria, dove c’è concordia». Forse l’alto funzionario l’ha scritta, con il presentimento di Cassandra, della reazione che avrebbe provocato nei sindacati maggiori della scuola, che si è fatta sentire subito: compatti hanno scritto che «le modalità individuate dalla nota come riproduzione in remoto delle attività ordinaria oltre ad apparire illegittime e inapplicabili, richiedono inoltre, implicitamente ed esplicitamente, che sia i docenti sia gli alunni possano accedere, in modo generalizzato, a connessioni internet con strumenti software e hardware adeguati, cosa che non può certamente darsi per scontata…».

Un voto all’impegno invece che al risultato

Nel confronto e dibattito tra Governo e Sindacati, rimangono i docenti che non hanno ancora capito se, concretamente, si possano dare i voti «normali» e meno gli studenti, tutti in attesa che ci sia una chiara e netta presa di posizione a Trastevere. Intanto, alcuni Dirigenti Scolastici hanno detto ai docenti di usare la valutazione formativa, cioè «metti un voto sull’impegno e l’interesse e altri parametri, che concorre alla valutazione finale dell’alunno». Certo, è giustissimo, e tutti- noi docenti- lo facciamo: ma fa media? La questione è complessa: varie sono state le proposte perché gli alunni possano affrontare con serenità l’ultima parte di questo anno scolastico, caratterizzato tragicamente dall’emergenza della pandemia. D’altra parte, stiamo vivendo tempi eccezionali e la scuola non può replicare se stessa, come fa il coronavirus in quanto tale, come se operasse in condizioni di normalità. Siamo in emergenza: lo stesso Presidente Mattarella ha parlato di ricostruzione nel dopoguerra.

E se usassimo la legge del 1995 che abolì gli esami di riparazione?

In questo contesto, avanzo, facendo tesoro del mio punto di vista di un docente, una proposta per il dibattito: si guardi dunque al passato per affrontare il presente e si faccia tesoro dell’azione del Ministro d’Onofrio, che abolì gli esami di riparazione a settembre nel 1994. Insomma, per la situazione eccezionale, si prenda il senso del Legge 352 dell’8 agosto del 1995 e la si adatti, opportunamente, al solo corrente anno scolastico. All’articolo 3, si legge: «Per gli studenti che siano stati promossi alla classe successiva pur non avendo pienamente conseguito, in una o più discipline, gli obiettivi cognitivi e formativi previsti dagli ordinamenti degli studi, in sede di valutazione finale il consiglio di classe delibera l’obbligo di frequentare, nella fase iniziale delle lezioni, le attività per essi previste nella programmazione di classe, limitatamente all’avvio dell’anno scolastico 1995-1996». Insomma tutti promossi a giugno, con i «debiti» da recuperare durante l’estate con lo studio autonomo e soprattutto con un mese (settembre 2020) - full immersion - da svolgere a scuola al posto del programma nuovo dell’anno successivo. Lo studente avrà, però, tre possibilità ovvero tre prove durante il corso dell’anno successivo per saldare il suo debito formativo: il saldo è condizione necessaria per essere ammessi all’anno successivo (a.s.2021-2022), insieme a un esito positivo di quello appena svolto (a.s.2020-2021).

Decida la politica (sentendo i prof)

Naturalmente, occorrerà organizzare bene tale passaggio, con una cabina di regia al Ministero che garantisca omogeneità di applicazione in tutto il territorio nazionale e trasparenza e imparzialità dei parametri, paletti, tempi generali che si vorranno adottare dal Ministero. Ogni scuola adatterà in base alla propria specificità Il Parlamento, se è il caso, eserciti le proprie prerogative costituzionali e faccia una legge assumendo una decisione politica, data la gravità del momento; il MIUR faccia proposte operative concrete e tecniche, tracciando la rotta come il nocchiero di una nave in tempesta: tale decisione del «6 politico» o di altre questioni simili non possono essere lasciate, in via esclusiva, in mano alla responsabilità dei Docenti e dei Dirigenti Scolastici, con buona pace dell’autonomia della scuola. Viviamo nell’emergenza: basta un decreto legge, come lo fu quello del 28 giugno 1995 (n. 253) e convertito in legge nell’8 agosto dello stesso anno. Anzi, si faccia una sorta di referendum consultivo fra i docenti in modalità on line: ascoltare ogni tanto i docenti non potrebbe che giovare alla Nazione, se si parla di scuola.

*docente di italiano e latino al Liceo Scientifico «Leonardo» di Milano e professore a contratto all’Università degli Studi di Milano


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