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Se la ricerca nei nostri atenei vale meno di Higuain

Giovanni Bignami

12/08/2016
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la Repubblica

GONZALO Higuain è un giovanotto argentino di 28 anni, abile calciatore, adorato a Napoli come “il nuovo Maradona”. O meglio, adorato prima che passasse alla odiata Juventus. Che per lui ha speso 92 milioni di euro o giù di lì. Per una coincidenza, certo dovuta alla vicinanza in cielo di Marte e Saturno, la cifra è uguale a quella che il Miur ha munificamente stanziato per tutta la ricerca “libera”, da fare su ogni argomento (dalla glottologia alla astrofisica) da parte di ognuna della novantina di Università della Repubblica. Wow!

Ma non è tutto. Si tratta del programma per ricerche di interesse nazionale, della durata di tre anni. Quindi, a tutti i professori e ricercatori italiani di tutte le Università viene dato in pasto ogni anno solo un terzo del povero Gonzalo, perché deve durare tre anni. Ripeto che si tratta, sostanzialmente, dell’unico programma di ricerca libera per la Università italiana.
Il paragone con le altre nazioni europee, che sullo stesso tema stanziano cifre in proporzione da tre a cinque volte maggiori, fa arrossire: con i colleghi stranieri adesso i ricercatori italiani cercano di parlare d’altro, ma purtroppo gli europei di calcio sono finiti… Se l’Università piange, il resto della ricerca pubblica certo non ride. È fatta da qualche decina di migliaia di ricercatori, circondati da una nuvola mal definita e variabile di precari, giustamente affamati di futuro. L’investimento in ricerca pubblica extrauniversitaria (contando anche i fondi ordinari di gestione dei vari Enti) è semplicemente ridicolo: 2,8 miliardi all’anno, distribuito da Miur ed altri quattro ministeri. Aggiungendo l’Università, e sempre contando i fondi per pagare personale e acqua-luce-gas, si arriva ad un gran totale di 9,5 miliardi/anno, pari a circa lo 0,7% del famoso Pil. Sono dati per il 2015: il ‘16 si annuncia un po’ peggio.
Questa è la realtà della nostra ricerca pubblica, al netto dei contributi europei. Dove, nonostante la bravura, siamo perdenti perché abbiamo la metà dei ricercatori dei paesi Europei: giochiamo in sei contro undici. E la ricerca davvero “privata” esiste quasi solo in tre privilegiate regioni (Lombardia, Lazio, Piemonte) e in alcuni fortunati settori, come il biomedico, ma ben poco al di fuori.
Ma non è unicamente questione di soldi: la gestione e la pianificazione di oggi sono inadeguate. I pochi fondi arrivano con gravissimi ritardi agli Enti: parte di quelli per il 2015 sono ancora da bandire, mentre la prima parte di quelli 2016 forse arriva per Natale. La pianificazione va ancora peggio: il Programma nazionale della ricerca (2015-2020) è stato approvato pochi mesi fa, con quasi tre anni di ritardo: il precedente, fatto dal ministro Gelmini nel 2009, era scaduto nel 2012.
Per di più, l’attuale Pnr, redatto senza significativa consultazione della base, ha totalmente sbagliato l’impostazione. Ha cioè ricalcato, quasi parola per parola, il piano europeo H2020, dedicato, per scelta Ue, alle applicazioni della ricerca. Gli altri grandi paesi (Francia, Germania, etc.) nei piani nazionali privilegiano la ricerca di base, necessaria per creare una comunità competitiva. Noi privilegiamo cose come “agrifood” o “made in Italy” (?), ma zero matematica, per esempio.
Prima che sia troppo tardi, e a prescindere dalla necessità di un aumento dei finanziamenti, proviamo a guardare avanti per rimediare ai danni fatti. Gli altri paesi europei, con la rimarchevole eccezione di Polonia e Montenegro, hanno tutti una Agenzia nazionale della ricerca. Adesso ce l’avrà anche la Grecia, mezza regalata e mezza imposta dall’Europa proprio perché quel paese “crei idee”. Proviamo anche noi a darci una Agenzia che sia capace di fare pianificazione sensata e gestione efficiente dei fondi. In Francia, ho visto nascere e partecipo tuttora alla loro Agenzia, che pianifica e finanzia ricerca libera per 5-600 milioni/ anno. La Dfg tedesca fa lo stesso, finanziando 30.000 progetti all’anno per un totale di 2,7 miliardi.
Non si chiede tanto, ovviamente. Solo vorremmo una Agenzia per la ricerca italiana che fosse indipendente dai ministeri, capace di fare pianificazione della ricerca, certo partendo da input politici dalla Presidenza del Consiglio e poi anche sentendo quelli che la ricerca la fanno davvero, in Italia e all’estero.

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