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Se il giudice sale in cattedra anche a scuola

La ruvida profezia di Edgard Morin, il grande sociologo francese secondo il quale tutto in Italia finisce in tribunale, riceve l'ennesima consacrazione dalla pandemia del Covid.  E macina come ultima pietra la turbolenza crescente nel mondo della scuola.

28/01/2021
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Il Messaggero

Paolo Graldi
La ruvida profezia di Edgard Morin, il grande sociologo francese secondo il quale tutto in Italia finisce in tribunale, riceve l'ennesima consacrazione dalla pandemia del Covid. 
E macina come ultima pietra la turbolenza crescente nel mondo della scuola. Non basta: strascina sulla scena infinita e cangiante della Giustizia (il governo Conte è caduto per evitare il voto sullo stato delle riforme di Bonafede) le proteste negli istituti superiori che in almeno un caso a Roma, quello del liceo Kant di Tor Pignattara, si sono trasformate in vere e proprie occupazioni. 
Insomma, una complicanza temuta, avvertita ma non scongiurata dalle autorità preposte e dunque dall'esito finale ancora incerto. Momento delicato, delicatissimo perché gli studenti, i genitori ma anche professori e dirigenti scolastici in tanti casi lamentano una débâcle organizzativa che riguarda, in particolare, le due fasce d'ingresso a scuola, alle otto e alle dieci, ma anche le singhiozzanti connessioni Internet per il cinquanta per cento che segue le lezioni da casa. Ad arroventare il clima delle dispute sulle responsabilità le inadempienze e le miopìe è arrivato il provvedimento di archiviazione deciso dalla Procura della Repubblica e relativo ad alcune istruttorie per interruzione di pubblico servizio, provvedimento che va a sbattere frontalmente con una decisione della suprema corte di Cassazione. 
Un autentico conflitto a suon di codici e dalle conseguenze rilevanti. I magistrati dell'accusa di piazzale Clodio non hanno ravvisato alcun reato nel comportamento degli studenti che avevano occupato gli istituti e perciò stesso impedito che si svolgessero le lezioni. Impedito almeno a coloro che desideravano seguirle, il che configurerebbe il reato di violenza privata. Il ragionamento giuridico poggia sull'idea che i giovani sono parte integrante dell'insegnamento, esercitano il diritto di essere considerati soggetti attivi nella disputa e dunque non passibili di incolpazione alcuna. 
Di qui nascerà una disputa giuridica che interesserà presto anche il mondo della politica, quel mondo che sulla scuola e i suoi destini si è accapigliato senza sosta, di riforma in riforma, dal dopoguerra ai nostri giorni. E sarà così durante, e certamente anche dopo, la presente pandemia. Il fatto è che sul comportamento degli studenti nelle occupazioni, autentiche prese di possesso delle aule e dunque delle attività scolastiche, la Suprema Corte di Cassazione si mostra ora di avviso contrario individuando in certi comportamenti proprio il reato di interruzione di pubblico servizio e in qualche caso perfino la violenza privata. E ciò anche se la mordacchia della protesta interessa un periodo di tempo ristretto, tre o quattro ore soltanto. I giudici di piazza Cavour, dall'alto dei loro scranni, pensano che se s'interrompe si rompe e se si rompe si deve pagare. In termini legali, anzi penali.
La situazione è seria: l'effervescenza che sta dilagando nelle classi più alte della scuola italiana, le proteste davanti al ministero di viale Trastevere ma soprattutto la tendenza (per ora a macchia di leopardo) delle ultime ore ad alzare i toni e gli atti attraverso la blindatura degli edifici impedendone l'ingresso a tutti, rappresentano altrettanti elementi di uno scenario in evoluzione bellicosa. Nei giorni scorsi il prefetto di Roma Matteo Piantedosi ha sventolato il ramoscello d'olivo del dialogo, in particolare per placare le proteste sul doppio orario, la doppia fascia d'ingresso, ma ha fatto capire che le manifestazioni di protesta devono restare nell'ambito della più stretta legalità, altrimenti il confronto cambia di terreno. Il disagio scolastico in tempi di Covid si nutre di argomenti e ragioni forti, ma quel che si teme è che le buone ragioni della rappresentazione di un disagio reale, profondo e prolungato si spostino fatalmente, attraverso forzature successive e magari interessate, sul terreno dell'illegalità, dei gesti e dei comportamenti penalmente rilevanti. Gli studenti sono chiamati a far valere i loro diritti senza dimenticare che nel loro bagaglio ci sono ancora i doveri e tra questi il rispetto della legalità. C'è un ultimo punto da precisare: l'occupazione in tempo di infezione dilagante è il paradosso più ingenuo e grave. Si protesta contro l'inadeguatezza della lotta al dilagare del virus accogliendolo a braccia aperte.


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