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Se è l'adulto a fare il bullo tra i banchi

di MARIA PIA VELADIANO

27/08/2016
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la Repubblica
DEV’essere chiarissimo che valutare non ha niente a che vedere con il potere, mai. L’esercizio del potere gerarchico è intrinsecamente rischioso perché la prevaricazione e il sopruso sono spesso uno scivolare inconsapevole, favorito dai caratteri in gioco, dalla paura e anche, molto, da quella che con una certa approssimazione si può chiamare «l’aria che tira», cioè quel che viene socialmente considerato accettabile.
Oggi la prevaricazione e l’aggressività verbale stanno dappertutto. C’è un sadismo dei rapporti gerarchici che non viene nemmeno dissimulato. Un dirigente che alla prima riunione con i suoi collaboratori dice «Ricordatevi che potete essere licenziati», un funzionario che dice en passant «Guardi che posso fare una relazione negativa su di lei al nostro capo», non esercitano un potere ma un sopruso.
Intervenire su un comportamento scorretto è altra cosa dal minacciare di farlo. La minaccia dell’esercizio del potere è intrinsecamente abuso perché vuol mettere l’altro nella posizione di soggezione, sottintende un’asimmetria della relazione che non esiste perché l’asimmetria è nella responsabilità, mai nella dignità.
Prevaricazione e minaccia sono le parole del bullismo. Ma il bullismo riguarda per definizione i bambini e i ragazzi e viaggia con un corredo di attenuanti che vengono dall’età, dalla condizione sociale, dal diritto dell’età giovane di sbagliare, di coprire l’incertezza del sé con comportamenti sgangherati che chiedono il contenimento dell’adulto. Sono attenuanti che non esistono quando si parla di adulti e meno che mai se sono adulti di scuola.
Un ispettore ha un potere di supporto, si chiama proprio così. Vuol dire che se un preside o un docente sbaglia gli dice dove ha sbagliato e lo aiuta a rimediare. O è così o la valutazione dei presidi e degli insegnanti diventa ricatto e se il tutto capita sui social, diventa anche gogna pubblica, moltiplicatore di conflittualità. L’arroganza è contagiosa. Il contrario di tutto quel che serve alla scuola.
Dalla Lombardia comunque, e proprio dal mondo della scuola, arriva in questi giorni anche la “Settimana della gentilezza”, che da qualche anno il preside Alberto Ardizzone, dell’istituto comprensivo di Merate, propone come giusto inizio dei giorni di scuola, e tanti istituti aderiscono a questa iniziativa che non ha niente a che vedere con il bon ton ma che lancia ragazzi e professori in attività pubbliche, giochi gentili e gesti di amicizia. Che dire di una settimana (una piccola eternità) della gentilezza istituzionale? Fra generi? Intergenerazionale? Addirittura politica?

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