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ScuolaOgg: Il fronte delle regioni

di Fabrizio Dacrema

22/10/2008
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ScuolaOggi

Oltre allo straordinario movimento in corso, sulla strada della manovra Tremonti-Gelmini si apre ora anche il fronte delle Regioni.

Giovedì 16 ottobre la Conferenza Unificata Stato Regioni, convocata per esprimere parere sul piano Gelmini, è saltata, perché le Regioni all’unanimità hanno posto la pregiudiziale sull’art. 3 del D.L. 154/08: o viene tolto di mezzo (la richiesta formale è lo stralcio dell’art. 3) il commissariamento finalizzato ad attuare il ridimensionamento della rete scolastica entro il 30 novembre 2008 oppure si rifiuteranno di svolgere la Conferenza Stato Regioni sul piano programmatico attuativo della manovra del Governo sulla scuola.

Con questa dura presa di posizione le Regioni rivendicano il rispetto delle proprie prerogative e respingono l’ingerenza governativa, che si è spinta addirittura ad approvare in un decreto legge sulla sanità un articolo con il quale, senza neppure informare le Regioni, si entra nel merito di una competenza delle Regioni – la definizione della rete scolastica – e le si obbliga a deliberare entro il 30 novembre un nuovo piano di riorganizzazione territoriale delle scuole che elimini tutte le istituzioni scolastiche sottodimensionate, pena subire la sostituzione ad opera di un “commissario ad acta”.

Più che comprensibile la reazione delle Regioni, comprese quelle di centrodestra, che, attraverso il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani, dichiarano: “E’ inaccettabile che noi siamo venuti a conoscenza di quest’articolo che ci interessa così direttamente solo leggendo il testo, che peraltro riguarda la sanità e non la scuola, senza aver avuto dal Ministero alcun tipo di comunicazione, per noi e' stata una sorpresa … La conferenza unificata non si farà finché questa questione non viene risolta".

Il precipitare di questo scontro avviene in un clima già molto teso a seguito dell’art. 64 del DL 112/08 convertito nella legge 133/08, giudicato dalle Regioni un’invasione di campo e contro il quale ad oggi sei Regioni (Sardegna, Marche, Puglia, Toscana, Emilia Romagna, Lazio, Piemonte) hanno presentato ricorso per illegittimità. Il motivo del ricorso "per illegittimità" riguardano diversi profili di incostituzionalità: il ricorso dell’Emilia Romagna ha preso in considerazione, oltre alla scuola, anche la casa, la formazione, la sanità e l'assistenza sociale e il patrimonio regionale. La Regione Liguria, invece, ricorre alla Corte Costituzionale per quanto previsto dalla manovra economica sull’apprendistato professionalizzante: in questo caso il decreto 112/08 introduce la possibilità per le imprese di optare per una formazione esclusivamente aziendale sulla base di accordi tra le parti sociali al di fuori del ruolo attribuito dalla Costituzione alle Regioni in materia di apprendistato.

La tensione con il Governo è salita ulteriormente con il decreto legge 137/08 nei confronti del quale la maggioranza assoluta degli assessori regionali all’istruzione ha chiesto l’abrogazione dell’art. 4 (maestro unico) con la sola eccezione della Lombardia e del Veneto. SecondoSilvia Costa (Assessore all’Istruzione della regione Lazio e coordinatrice della IX Commissione Istruzione della Conferenza delle Regioni) il decreto legge 137/08 riduce considerevolmente l’offerta scolastica sui territori, impoverisce l’articolazione della didattica, incide pesantemente sulla spesa pubblica degli enti locali e delle famiglie e, di fatto, anticipa il Piano programmatico nazionale, sul quale era prevista l’espressione del parere in sede di Conferenza Unificata (Stato, Regioni, Autonomie locali).

In un quadro di questo genere era evidente che il commissariamento operato dal decreto sanità non poteva che fare traboccare il vaso, anche perché ormai da anni le Regioni, insieme a Province e Comuni, esercitano le loro competenze in materia di programmazione della rete scolastica, funzione trasferita fin dal 1998 con il decentramento di compiti e funzioni operato dalla riforma Bassanini.attraverso il D.lgs 112/98.

Anche i parametri che il Ministro impone alle Regioni per il nuovo piano di riorganizzazione della rete scolastica sono previsti dal DPR 233/98 (dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche) e quindi antecedenti la riforma della Costituzione del 2001, che attribuisce alle Regioni la prerogativa legislativa concorrente in materia di istruzione. In ogni caso il DPR 233/98 si riferiva solo alle dimensioni minime e massime di una scuola (500/900 alunni) ai fini del conferimento dell’autonomia e della dirigenza scolastica e non a parametri minimi sotto i quali chiudere i singoli punti di erogazione appartenenti ad una istituzione scolastica.

Il piano programmatico, invece, sostiene che i piani di dimensionamento regionali dovranno procedere ad un progressivo superamento di plessi e sezioni staccate con meno di 50 alunni.

Per le Regioni, quindi, le scelte unilaterali del Governo contenute nel capitolo del piano programmatico sulla riorganizzazione della rete scolastica configgono con le loro competenze in materia.

La sentenza 13/2004 della Corte Costituzionale ha confermato la competenza regionale in materia di programmazione della rete scolastica: su questo argomento la potestà legislativa delle Regioni, quindi, può essere solo limitata dallo Stato attraverso principi generali e livelli essenziali delle prestazioni, lasciando al legislatore regionale lo spazio e la possibilità di regolamentare con legge propria gli aspetti di dettaglio.

Ne consegue che ogni Regione, sulla base della dotazione organica complessiva assegnata e nel rispetto degli ordinamenti, dei principi e dei livelli essenziali di prestazionefissati dallo Stato (es. numero massimo di alunni per classe, misure di sostegno per alunni svantaggiati), distribuisce il personale (quanti docenti ad ogni scuola?) alla propria rete scolastica (quante scuole?) secondo criteri da lei stessa determinati in coerenza con la propria programmazione generale dell’offerta formativa.

Siamo ben lontani dai diktat che la Gelmini pretende di imporre alle Regioni.

Il comportamento del Governo nei confronti delle Regioni è poi in totale contraddizione con il metodo della leale collaborazione, in base al quale tutte le decisioni d’indirizzo dovrebbero essere condivise. Eppure questo principio è posto alla base della proposta di Intesa fra Stato e Regioni, approvata dalla Conferenza delle Regioni lo scorso 9 ottobre, avente come oggetto l’attuazione del Titolo V in materia di istruzione. L’obiettivo della proposta è di realizzare una ricomposizione delle funzioni dei diversi soggetti in un quadro in cui Stato, Regioni ed Enti Locali, Istituzioni Scolastiche si coordinano per realizzare il fine comune del governo del sistema formativo.

Invece, la situazione di scontro frontale provocata dalle scelte del Governo rischia di compromettere la difficile transizione al nuovo modello di governance introdotto dal nuovo Titolo V della Costituzione e che, secondo il Master Plan approvato all’unanimità dalla Conferenza delle Regioni, dovrebbe avere inizio a partire dal 1 settembre 2009.

È comunque sempre più evidente come il tentativo del Governo di imporre alla Regioni il ridimensionamento della rete scolastica e alle Istituzioni Scolastiche Autonome il maestro unico, sia destinato ad entrare in rotta di collisione con le prerogative che la Costituzione attribuisce alle Regioni in materia di programmazione dell’offerta formativa e alle scuole in materia di organizzazione didattica.