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Scuola, sono giorni decisivi. La riapertura non è scontata

Intervista a Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza e ordinario di Igiene generale e applicata all'Università Cattolica di Roma

18/08/2020
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Il Messaggero

Se nei prossimi giorni il numero dei contagi continuerà a crescere, «c'è un problema serio» da affrontare. E' ipotizzabile infatti anticipa Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza e ordinario di Igiene generale e applicata all'Università Cattolica di Roma non solo «la chiusura di aree con focolai», ma addirittura che «non riaprano le scuole». Tutto «dipenderà dal comportamento responsabile delle persone».
L'epidemia in questi giorni non sta risparmiando più neanche le regioni che nei mesi scorsi sembravano quasi immuni dal rischio. La situazione si sta facendo di nuovo seria?
«La problematicità è diffusa su tutto il territorio nazionale. Non c'è nessuna zona che parte avvantaggiata o svantaggiata. Tutto dipenderà dalla capacità che avranno i territori e le autorità sanitarie di intercettare e circoscrivere i focolai. Naturalmente, ogni sviluppo futuro dipenderà soprattutto dal comportamento delle persone».
Dunque, anche al Sud bisogna stare in guardia? 
«Certo, non c'è nessuna parte del territorio nazionale che oggi è immune. Tutte quante le regioni sono vulnerabili e a rischio e ripartono da una condizione simile. Forse le uniche ancora svantaggiate dalla situazione precedente sono la Lombardia, il Veneto e, in parte, l'Emilia Romagna. Queste tre Regioni continuano ad avere dati peggiori rispetto al resto d'Italia».
Il controllo dell'epidemia sta sfuggendo di mano?
«In questo momento il contagio è alimentato sostanzialmente per circa il 30-35 per cento da quei turisti italiani che ritornano dall'estero, e sono soprattutto ragazzi. Poi un altro 40 per cento è autoctono, sono focolai cioè originati o trasmessi in famiglia o in comunità. Infine, un 20-30 per cento di persone sono turisti, oppure migranti, o comunque persone che vengono dall'estero». 
E' ipotizzabile che nei prossimi giorni si disponga la chiusura di qualche zona? 
«E' tutto da vedere. Ma certamente è una possibilità che va presa in considerazione nel caso non si riesca a intercettare i focolai. Però, prima di chiudere, bisogna cercare di tracciare i contagiati e di limitare i focolai. Naturalmente, a fronte di tutto questo, ribadisco, c'è il comportamento delle persone: se agiscono come se il rischio non ci fosse, è chiaro che i focolai aumentano, e questo a sua volta innesca la possibilità che le autorità non ce la facciano a individuarli».
C'è qualche Regione che è più pronta a tracciare questi nuovi casi?
«Nessuna lo è in maniera ottimale. Innanzitutto perché ancora non è stato rafforzato pienamente l'organico delle Asl che deve essere delegato a questo compito. Poi, la app Immuni ancora è scarsamente scaricata e quindi non riesce ad aiutare le Regioni a rintracciare i casi positivi. E infine perché sostanzialmente i focolai cominciano a diventare un po' troppi». 
Nel sistema sanitario si osservano anche resistenze. Il sindacato medici italiani non vuole per esempio che i tamponi e i test sierologici vengano fatti negli studi dei medici di famiglia per non mettere a rischio gli altri pazienti.
«Il problema della medicina di famiglia è strutturale, ed è stato evidenziato nella prima ondata epidemica. Se la medicina di famiglia rimane in questo stato giuridico, ossia di liberi professionisti convenzionati con il servizio sanitario nazionale, per altro con una gestione estremamente eterogenea, chiaramente non riesce a esprimere a pieno la potenzialità che invece dovrebbe avere». 
Per affrontare l'epidemia servirebbe un sistema sanitario più compatto ed efficiente.
«Dei tre pilastri del Servizio sanitario nazionale, su quello ospedaliero sono stati fatti maggiori investimenti, ed è infatti quello messo meglio. Per quanto riguarda il pilastro della sanità pubblica, del contact tracing, dell'assistenza domiciliare, ci sono stati degli importanti investimenti, però ovviamente c'è bisogno di tempo perché possano essere espressi. Quello che rimane più indietro è appunto il pilastro della medicina generale».
Se il numero dei casi continua ad aumentare c'è il rischio che i bambini non possano tornare a scuola?
«Sì, il rischio c'è. Dipende se il trend si inverte anche attraverso la decisione presa domenica dal governo di chiudere discoteche e di limitare la movida attraverso l'uso delle mascherine. Noi possiamo e dobbiamo lavorare perché le scuole riaprano, ma è chiaro che se abbiamo una esacerbazione e una crescita dei casi, si riapre un enorme punto interrogativo, perché di fatto in queste condizioni le scuole potrebbero essere fonte di nuovi focolai. Quindi, bisogna fare tutti gli sforzi possibili e immaginabili per riaprire le scuole, e questo significa che serve che da una parte le persone abbiano comportamenti adeguati e che le autorità si preparino adeguatamente».
E' ipotizzabile riaprire le scuole solo nelle zone con meno contagi?
«Se i contagi continuano a crescere come stiamo vedendo negli ultimi due tre giorni, c'è un problema serio. Se invece questa crescita viene interrotta e addirittura contenuta, si può riaprire in tutta Italia. Ma è chiaro che i presupposti sono l'interruzione di questa crescita di casi e la capacità di gestire i contagi con i protocolli adeguati».
Graziella Melina
Giuseppe Scarpa


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