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Scuola, Sinopoli: se per Draghi è una priorità è una buona notizia. Ma ora stop alla retorica: servono investimenti veri

Intervista de Il Diario del lavoro a Francesco Sinopoli, Segretario FLC CGIL

11/02/2021
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Tommaso Nutarelli

Investire sulle persone, le infrastrutture e le tecnologie. Sono queste le priorità per Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc-Cgil, il sindacato della scuola, assieme a risorse maggiori per il rinnovo del contratto. Il leader della Flc apprezza l’attenzione che il presidente incaricato Draghi sembra voler riservare al mondo dell’educazione. Sul prolungamento dell’anno scolastico fino a giugno precisa: “un conto è il recupero degli apprendimenti scolastici, ma non tolleriamo la solita retorica che gli insegnati non lavorano”. E sulla scelta tra un profilo tecnico o politico al dicastero spiega: “non esistono ministri tecnici, ma solo politici”

Sinopoli, la scuola sembra essere una delle priorità del premier incaricato Draghi. È soddisfatto?

Sicuramente l’interesse che il premier incaricato Draghi sembra aver dimostrato nei confronti della scuola è apprezzabile, e un punto importante dal quale poter partire.

Dalle indiscrezioni filtrate, sono due, al momento i punti emersi, iniziare il prossimo anno con tutte le cattedre coperte e allungare quello in corso oltre giugno. Qual è il suo giudizio in merito?

La mancanza di docenti a settembre è un problema che si ripete all’inizio di ogni anno scolastico. Circa un anno fa, all’interno di una proposta unitaria, avevamo presentato le modalità attraverso le quali realizzare il concorso riservato ai precari, con più di tre anni di servizio, per titoli, con una prova a fine anno, dove il docente avrebbe svolto anche un percorso formativo. Una strada per il reclutamento, a nostro avviso, selettiva, formativa e rapida. La ministra Azzolina ha preferito, invece, puntare sul concorso ordinario, peraltro in tempo di pandemia, sventolando la bandiera ingannevole della meritocrazia. 

Perché non è stata scelta la soluzione indicata dal sindacato?

Guardi quello che le posso dire è che ci siamo trovati difronte all’ennesima narrazione sbagliata, ossia che il sindacato voleva attuare una sorta di sanatoria. Questo è assolutamente falso.

Quante sono le cattedre scoperte?

Sono circa 220mila (e non 10 mila come è stato affermato su molti giornali che hanno riportato presunte dichiarazioni di Draghi), e lo scorso anno sono cresciute in concomitanza dei pensionamenti. Il prossimo anno tale numero aumenterà di molto, raggiungendo livelli mai visti nella storia repubblicana. Quindi, se Draghi intende procedere alla stabilizzazione dei precari, indispensabili alla scuola, noi ci siamo. Ricordiamo che stabilizzare i precari avrebbe comunque un costo inferiore rispetto al risparmio determinato dai pensionamenti.

Venendo alla questione di prolungare l’anno scolastico, che cosa ne pensa?

Credo che sia importante fare chiarezza su questo punto. Intanto non sappiamo se il premier incaricato si sia espresso proprio in questi termini. Comunque se il discorso verte sul recupero degli apprendimenti scolastici, sappiamo che il problema esiste, ma che non è uguale in tutte le regioni e in tutte le scuole d’Italia. Quindi serve una strategia, un piano, diversificato e non standardizzato in quanto la responsabilità delle modalità e dei tempi di realizzazione delle attività deve rimanere delle singole istituzioni scolastiche. Ma per fare tutto questo occorrono investimenti cospicui e immediati. Inoltre c’è un problema di tempo scuola che non solo è stato tagliato pesantemente con Gelmini e Tremonti, ma che nel primo ciclo, presenta disparità territoriali ingiustificabili tra nord e sud del Paese. Abbiamo classi sovraffollate e scuole enormi per numero di studenti e di plessi. Per tentare di dare una risposta a questi problemi occorre ripristinare quanto in questi anni è stato tolto alle scuole in termini di organici partendo, ad esempio, dalla conferma del personale covid il cui contratto scade il 30 giugno. Se poi si vuole spostare l’attenzione sulla solita retorica, su questo punto siamo fermamente contrati.

Che tipo di retorica?

Che gli insegnati non lavorano, che hanno tre mesi di vacanza, i soliti luoghi comuni sul corpo docente, che sono emersi quando gli esponenti di una specifica parte politica sono andati alle consultazioni con Draghi. Dobbiamo riconoscere lo straordinario lavoro che gli educatori, e tutto il personale ATA, hanno svolto in questo anno difficile, senza il quale la scuola non sarebbe potuta andare avanti. Sarebbe più opportuno iniziare a parlare di quanto poco prendono gli insegnanti.

Venendo all’aspetto economico, vi soddisfanno i soldi messi nella finanziaria per il rinnovo?

Le risorse stanziate nella legge di Bilancio sono assolutamente insufficienti. Si parlava di un aumento a tre cifre, ma oggi la somma si aggira sugli 80 euro.

Si potrebbe attingere al Recovery Plan?

Sappiamo che i denari del Recovery Fund sono fissi, ma potrebbero liberare dei soldi da investire appunto sulla parte economica del contratto.

Se potesse scegliere, prederebbe un ministro politico o tecnico alla guida dell’Istruzione?

Per me non esiste un ministro tecnico. Quando si usa questa definizione è perché si vuole celare un orientamento, che resta pur sempre politico. Detto questo, il prossimo ministro dell’Istruzione dovrebbe totalmente abbandonare le politiche degli ultimi trent’anni, e ripartire non da una scuola del capitale umano ma delle persone.

È passato quasi un anno da quando la scuola è stata chiusa per la prima volta a causa del covid. Abbiamo imparato qualcosa in questo tempo?

Purtroppo questo anno di pandemia ci ha insegnato ben poco. La scuola si trova a dover fronteggiare gli stessi problemi. Un vero cambio di passo si potrà solamente avere con investimenti seri nelle infrastrutture, nelle tecnologie e nelle persone. Sappiamo benissimo che classi piccole funzionano meglio, e ancor più in tempo di covid. Serve una riforma dei cicli scolastici, innalzare l’obbligo ai 18 anni. Riprendendo le parole di Edgar Morin, il compito della scuola è quello di educare a vivere, formare bene le menti dei ragazzi e non riempirle. I nostri figli vivono in un mondo estremamente complesso, con problemi che prima erano distanti dalla nostra quotidianità. La scuola deve educarli ad affrontare questa complessità.


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