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Scuola, per invertire la rotta bisogna puntare sulla qualità degli insegnanti

i Paesi che nel tempo ottengono risultati sempre più soddisfacenti – Estonia e Singapore, per citare due esempi molto diversi tra loro - sono anche quelli la cui scuola è riuscita ad attrarre, formare e trattenere attraverso adeguati incentivi docenti preparati e motivati.

04/12/2019
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La Stampa

Stefano Molina*

Diciamolo chiaramente: i risultati diramati dall'Ocse sullo stato di salute del nostro sistema di istruzione non sono confortanti. Sanciscono l'inefficacia dei vari tentativi di riforma della scuola italiana susseguitisi negli ultimi anni. Le prove Pisa 2018 di ultima generazione (interamente svolte al computer e adattive in funzione della qualità delle risposte man mano fornite dai rispondenti) dimostrano come si sia ulteriormente ridotta la capacità dei nostri quindicenni di comprendere testi scritti, con una specifica debolezza nell'individuare le informazioni davvero rilevanti; una competenza sempre più importante in presenza dell'enorme proliferazione di testi e di fonti che caratterizza la società dell'informazione digitale. Gli studenti italiani sono stazionari in matematica – questa è una delle poche buone notizie – e possono così competere ad armi pari con i coetanei ungheresi e portoghesi. Sprofondano però nelle scienze, dove ottengono risultati comparabili a quelli di turchi, bielorussi e ucraini. E gli studenti tedeschi, francesi, inglesi, con i quali eravamo soliti confrontarci? Occorre purtroppo riconoscere che ormai giocano in un altro campionato. Il quadro che emerge è quindi preoccupante; peraltro, riprende e proietta sulla scena internazionale alcuni sintomi chiaramente emersi nei mesi scorsi in occasione della presentazione degli esiti delle prove Invalsi. Più nel dettaglio, le nuove prove Pisa ci parlano di un'ulteriore e accentuata segmentazione sociale e territoriale in atto nel Paese: si allargano i già ampi divari tra i diversi indirizzi di scuola, con i licei che staccano sempre più nettamente gli istituti tecnici, mentre continuano a fare fatica gli istituti professionali e i centri regionali di formazione professionale. E si allargano i divari territoriali, con il Sud tristemente alla deriva verso livelli di competenze del tutto inappropriati per una regione europea. Si stanno invece riassorbendo quelle differenze tra il Nord Ovest e il Nord Est che negli anni passati avevano proiettato una luce positiva sulle scuole del Triveneto; eccezion fatta per il miglioramento del Nord Ovest in matematica, la chiusura del divario dipende dal forte calo relativo delle regioni orientali.
Come invertire la tendenza al declino degli apprendimenti dei quindicenni, che mina alla base la costruzione del capitale umano su cui l'Italia potrà contare nei prossimi decenni? Dove è più opportuno intervenire? La terapia suggerita dall'Ocse, del tutto condivisibile, è quella di puntare senza indugi sulla qualità degli insegnanti: i Paesi che nel tempo ottengono risultati sempre più soddisfacenti – Estonia e Singapore, per citare due esempi molto diversi tra loro - sono anche quelli la cui scuola è riuscita ad attrarre, formare e trattenere attraverso adeguati incentivi docenti preparati e motivati. Sarebbe quanto mai auspicabile che il dibattito nazionale e le politiche scolastiche tenessero conto di questa convincente lezione ricavabile dalla scena internazionale. —
*Fondazione Agnelli