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Scuola, maestri referenti Covid: «Troppe difficoltà, come possiamo seguire i bambini?»

Lunghe attese, poca chiarezza sui tamponi, incongruenze tra Asl e Ministero dell’Istruzione: ad assumere questo ruolo sono gli insegnanti, spesso di sostegno o i dirigenti scolastici. E non hanno vita facile. Due testimonianze da Roma e Torino ci spiegano perché

05/11/2020
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L'Espresso

Chiara Manetti

Sono passate le sei di sera e il cellulare fornito a L. dalla sua scuola continua a squillare. «Siete asintomatici? Quando avete avuto l’ultimo contatto? E il tampone quando l’avete fatto?». I referenti Covid come L. non hanno orari: «Mi sveglio alle 6, vado a scuola e dalle 7:30 inizio a ricevere telefonate da genitori e docenti che mi contattano per qualsiasi dubbio sulle procedure da seguire. In teoria dovrei essere reperibile dalle 8 alle 18, in pratica lo sono non solo a qualsiasi ora, ma anche nel weekend».

L. lavora in una scuola primaria nella periferia di Roma. Nella capitale il 30 ottobre sono stati registrati 963 nuovi casi, a fronte dei 1.859 dell’intera regione Lazio. «Quasi ogni giorno riscontro un positivo, chiamo la Asl attraverso un numero dedicato all’emergenza Covid nelle scuole e a seconda delle indicazioni informo chi di dovere sulle procedure da mettere in atto. Nel frattempo cerco di fare lezione con i miei alunni». Sì, perché il ruolo di referente scolastico può essere ricoperto “da un docente o da un componente del personale Ata, ma anche dallo stesso Dirigente scolastico”, come si legge nel vademecum dell’Anp, l’Associazione nazionale presidi. «Visto il tempo e la concentrazione che mi sono trovata a dover dedicare a quest’incarico, il mio ruolo primario non so più quale sia» spiega L., che è un’insegnante di sostegno e segue due bambini in due classi diverse. Uno in particolare ha una disabilità grave, che comporta un bisogno di assistenza continua. «Riesco a svolgere il mio lavoro con molta fatica e spesso mi sembra di togliere qualcosa ai miei alunni, perché mi ritrovo costretta a dover rispondere al telefono e seguire le pratiche di referente Covid anche durante le ore in cui sono impegnata con loro». Nel suo istituito comprensivo lei è l’unica insegnate di sostegno che svolge anche questo ruolo: nei vari plessi le altre sono insegnanti curricolari.

Nel documento di 25 pagine messo a punto da Iss, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, Inail, Fondazione Bruno Kessler, Regione Veneto e Regione Emilia-Romagna, è ben spiegato l’iter da seguire con un caso Covid a scuola. Eppure emerge qualche incongruenza tra M.I. e Asl: come spiega L., «In una nota del Ministero di qualche giorno fa si parlava di 10 giorni di quarantena per i contatti stretti, senza alcun accenno al tampone, mentre nelle direttive della Asl la quarantena finisce al decimo giorno con tampone negativo o al quattordicesimo senza tampone». È anche capitato che la Asl le dicesse che i docenti in isolamento precauzionale dovevano chiedere il certificato di malattia al medico di base, mentre lo stesso medico si rifiutava di emetterlo poiché i docenti non erano malati e potevano attivare la didattica integrata. Il problema non è solo cercare di conciliare tutto questo con le lezioni, ma dover rimanere in attesa anche diverse ore prima di riuscire a parlare con un operatore. «Mi rendo conto che i casi da gestire ogni giorno siano molti, ma mi è capitato addirittura di dover chiedere ai genitori degli alunni che avevano fatto il tampone di inviarmi i referti perché alla ASL non li trovavano, e senza di essi non potevano “riaprire” la classe».

I., referente Covid in una scuola elementare di Torino, è anche responsabile di plesso. A differenza di L. non ha mai avuto contatti diretti con la Asl, perché «Io comunico i casi solo alla segreteria o alla vicepreside: è compito loro e del medico curante segnalarli alle strutture di riferimento». Poi, a differenza di L. che non ha mai dovuto farlo, manda un resoconto settimanale con le cifre dei positivi e dei soggetti in quarantena al Ministero della Salute, che farà delle statistiche per vedere l’incidenza del virus nelle scuole. Anche lei ogni giorno cerca di fare lezione ai suoi alunni di seconda: «Se non vengo interrotta devo comunque assicurarmi che tutti tengano la mascherina, che non si girino per parlare con i compagni, che portino il materiale giusto a scuola perché qui non si può più tenere». Per questo secondo lei, per riuscire a fare anche il referente Covid al meglio, servirebbe una persona più specializzata, una sorta di medico scolastico sul posto. «Molte volte arrivano dei bambini che hanno sintomi da Covid e io li mando a casa, quando magari non è niente». Per L. invece la figura del referente Covid basterebbe anche, ma «l’incarico dovrebbe essere svolto da una persona esterna che non si debba occupare anche dell’istruzione degli alunni».

Nella scuola romana di L. tutti i bambini in isolamento precauzionale o quarantena usufruiscono della Ddi, la didattica digitale integrata, anche se ci sono solo dei casi singoli. Invece «la nostra scuola ha deliberato che la Dad si farà nel momento in cui l’intera classe viene chiusa o c’è un lockdown» spiega I. da Torino. Nella sua classe due situazioni si prolungano da un po’ di tempo: una bambina è assente da quasi un mese, un altro dal 12 ottobre. «Entrambi hanno i genitori positivi e nonostante il loro tampone risulti negativo dovranno aspettare che anche gli esiti di mamma e papà lo siano: a quel punto poi dovranno rifare il tampone e risultare negativi. È un processo molto lungo e nonostante tutto per questi bambini non c’è la Dad. Io sto mandando loro i materiali e il programma svolto in classe per non farli rimanere indietro, ma non seguono le lezioni a distanza».

L. sta facendo video-lezioni da casa ai suoi alunni: un bambino nella sua classe è risultato positivo, e lei continua a svolgere il doppio ruolo di insegnante e referente Covid dal suo salotto. Passata la quarantena, né L. né i suoi studenti a contatto col positivo devono risultare negativi al tampone per tornare tra i banchi di scuola. «All’inizio per rientrare era obbligatorio, ma ormai i Ddp sono così congestionati che non riescono più a predisporre i tamponi in tempo utile» spiega I. da Torino, dove vale lo stesso trattamento. Lei però non si capacita di cosa accada dopo le sue segnalazioni: «Non si capisce perché alcuni riescano a fare il tampone, anche in tempi celeri, e altri invece attendano giorni e giorni. Molti prenotano autonomamente, alcuni invece vengono contattati quasi subito tramite mail». Secondo la circolare del ministero della Salute del 24 settembre, gli operatori scolastici e gli alunni hanno una priorità nell’esecuzione dei test diagnostici. Da settembre la Regione Piemonte ha previsto una corsia prioritaria per i tamponi necessari allo screening scolastico e nel caso in cui una famiglia non disponesse o avesse difficoltà a mettersi in contatto con il proprio pediatra o medico, può accompagnare il bambino a uno degli hotspot ad accesso diretto con un’autocertificazione. Sembra che la stessa cosa valga per insegnanti e operatori scolastici, ma le regole variano da una scuola all’altra, oltre che da una regione all’altra: le Asl del Lazio si sono lamentate dei drive-in intasati. Sono le circolari interne, secondo loro, a creare confusione.


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