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Scuola-lavoro: "Troppe ore per troppi studenti, ma la strada è giusta

Una ricerca dall'Università di Urbino analizza il sistema lanciato dal Ministero nel 2015. E ne evidenzia difficoltà e contraddizioni: "Partenza troppo veloce per i licei. E se non si risolvono le criticità una buona idea rischia di essere un flop"

17/10/2017
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la Repubblica

Valentina Ruggiu

 "L'idea c'è, ma se non si risolvono le criticità l'alternanza scuola-lavoro rischia di essere un flop". Non ha dubbi Nicola Giannelli, ricercatore e docente in Scienza dell'amministrazione e politiche di welfare all'università di Urbino che, insieme al ricercatore e insegnante Vittorio Sergi, sta conducendo una ricerca per monitorare gli effetti dell'alternanza scuola-lavoro in 15 scuole marchigiane, tra istituti tecnici e licei.

Dai racconti di insegnanti e alunni sono emerse le molte sfide che le scuole si trovano ad affrontare ogni giorno. Grandi e piccoli problemi sorti per la mancanza di un piano organizzativo lungimirante in grado di omogeneizzare l'esperienza sull'intero territorio italiano, anche se "è presto per parlare di risultati definitivi", precisa il docente.

"L'errore - continua Giannelli - è pensare che l'alternanza sia una cosa sola, quando invece ha assunto 100 volti differenti che cambiano in base alla scuola, al numero di imprese sul territorio, dalla presenza di enti pubblici disposti a collaborare e dalla volontà dei docenti di coordinare i progetti". Secondo Giannini tutto ruota intorno a tre questioni principali, tre nodi che bisognerà rivedere "se si vuole salvare l'alternanza": l'obbligatorietà della partecipazione, che ha aumentato il numero degli studenti da inserire nelle aziende, l'imposizione di numero di ore da rispettare, che incide anche sull'orario delle lezioni, e la mancanza di una guida da parte del Ministero dell'Istruzione, che ha lasciato sulle spalle dei singoli istituti tutto l'onere dell'attivazione e del controllo dei progetti.

Il Ministero ha fatto la riforma, ma non ha dato suggerimenti utili o aiuti concreti alle scuole. "L'alternanza - spiega Giannelli - è stata riversata sugli istituti senza niente altro che una manciata di milioni e non facendo tesoro delle esperienze maturate negli altri paesi dell'Ue o dai nostri istituti tecnici". Una distinzione, infatti, va fatta tra gli istituti professionali e i licei. Per le scuole tecniche l'alternanza non è una novità: qui la possibilità di svolgere un percorso formativo in azienda esisteva già dal 2003. Un lasso di tempo grazie al quale sono riuscite a costruire un bagaglio di esperienze e una rete di contatti utili a inserire gli studenti nelle aziende. Rete che, nonostante il rodaggio più che decennale, "improvvisamente non è più risultata sufficiente dal momento che deve piazzare più studenti per più tempo".

La differenza rispetto al 2003, infatti, è che al tempo l'adesione degli studenti era volontaria e il numero di ore previste era inferiore. Oggi, invece, si è passati da progetti di 120-160 ore in due anni, a percorsi obbligatori per tutti gli studenti che durano 400 ore negli istituti e 200 ore nei licei. "Una dilatazione enorme del tempo e della quantità degli alunni che spesso incide sulla qualità e sulla capacità di controllo di coordina. E che spiega perché ci sono tanti ragazzi poco soddisfatti, che si lamentano perché nelle aziende si ritrovano spesso a fare cose poco utili o totalmente estranee al loro percorso di studio".

"Se a un ragazzo viene chiesto di scaricare un camion - prosegue Giannelli - il primo giorno può imparare qualcosa, il secondo pure, ma dopo un mese no. Se non si controlla, se non si attivano stage congrui agli studi frequntati, si rischia di perdere il valore formativo".  Secondo le prime analisi del professore, "si direbbe che solo un 20% dei progetti siano davvero validi", un "50% circa sono accettabili" e i rimanenti sono "pessimi".

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Per i licei, invece, l'alternanza è un mondo completamente nuovo. "Presi dal panico, si sono dovuti inventare in fretta una soluzione - dice Giannelli - come prima cosa hanno chiesto aiuto alle famiglie per trovare possibili interlocutori, ovvero delle aziende disposte ad attivare contratti di alternarza. Il rischio è che a beneficiare dei progetti migliori siano i figli dei genitori che li hanno proposti. Si tratta di un grande esperimento sociale. In futuro capiremo se quei collegamenti preferenziali che sono stati attivati rimarranno aperti anche per altri studenti o se invece si chiuderanno e quindi tenderà a prevalere il familismo".

I problemi sono tanti e diversi: bisogna trovare le aziende disposte a ospitare i giovani e all'interno delle scuole si contano sulle dita della mano i docenti disposti a gestire i progetti di centinai di studenti. La scarsità di tutor scolastici mette in crisi anche la fase di controllo e verifica. Le scuole ci provano, ma lo sforzo è basato sulla volontà dei professori. E chi si propone ha un carico di lavoro difficile da gestire: "Un docente responsabile dei progetti per l'alternanza - racconta il professore - ha dovuto seguire 1300 studenti: ha dovuto tenere i contatti con le imprese, con le famiglie, sottoscrivere gli accordi, controllarli. Un'altra insegnante mi ha confessato che ha passato l'estate a controllare i suoi studenti impegnati negli stabilimenti balneari per capire che mansioni stavano svolgendo e se non erano impiegati in mansioni pericolose o non consone".

"Per le scuole - spiega Giannelli - è difficile organizzare e controllare che i progetti formativi siano di qualità e che si svolgano secondo gli accordi previsti".  

Altro fronte di criticità è quello della 'doppia obbligatorietà'. Da un lato quella che abolisce la volontarietà degli studenti all'adesione, dall'altro quella che istituisce la soglia minima di ore per completare i percorsi. "Sono scelte che hanno comportato enormi distorsioni e resistenze nelle scuole, tra insegnanti e famiglie ancor prima che tra gli studenti", dice Giannini. Il motivo è semplice: le ore sono troppe e durante l'anno non si riesce a completare il pacchetto previsto.

Per ovviare al problema molte scuole hanno deciso di spalmare gli stage anche nei mesi estivi: "Ma è una soluzione - conclude il professore - che ai ragazzi non piace, specialmente a quelli che in estate si trovavano un lavoretto per guadagnare qualche soldo e che ora si ritrovano a fare lo stesso mestiere ma gratis. Una parte delle imprese chiede i ragazzi in alternanza per usarli come manodopera a basso costo per lavoretti low skills. Per evitare questo fenomeno bisognerebbe che ogni progetto fosse curato e sorvegliato. Non possiamo permettere che gli stage, estivi o meno, imporiscano ulteriormente il mercato del lavoro".


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